Discariche abusive, oltre 280 chili di rifiuti sull’Etna «Raccolti ieri, abbiamo trovato anche giochi erotici»

In sei hanno raccolto 280 chili di rifiuti in 815 metri quadrati. È l’esito dell’ultimo appuntamento di Puliamo il Parco (vol.4), organizzato dal gruppo di volontari Rifiuti piroclastici. Che ieri si sono dati appuntamento nei pressi di piano Bottara, a 1350 metri d’altitudine, in contrada Rinazzi nel territorio del Comune di Belpasso, per rimettere a nuovo lo slargo di fronte al ristorante La nuova quercia: uno spazio conosciuto da chi cerca funghi sull’Etna e in cui, tra le classiche lattine abbandonate e un televisore degli anni Cinquanta, i ragazzi hanno trovato anche l’inequivocabile custodia di un giocattolo sessuale. «In quella zona siamo andati a pulire per ben due volte – dice Giuseppe Distefano, 20 anni, studente di Scienze biologiche all’università di Catania – Stavolta ci siamo spostati 150 metri più avanti e abbiamo incontrato una situazione disastrosa, con una densità di spazzatura che non avevamo mai riscontrato prima».

In oltre cinque ore di intervento, Distefano e altri cinque giovani hanno raccolto 63 chili di plastica e alluminio, 60 chili di vetro, 55 chili di indifferenziata e 102 chili di altri rifiuti, tra cui materiale edile, contenitori di sostanze chimiche, pneumatici, farmaci e pannolini. «Alcune cose non abbiamo potuto pesarle con il dinamometro e altre neanche potevamo toccarle – continua il volontario – C’erano pezzi di eternit e scarti di costruzione. Inoltre, com’è evidente, si tratta di una zona che viene usata per appartarsi e in cui, quindi, si trovano anche rifiuti che una famiglia in gita sull’Etna non vorrebbe trovare». Preservativi, pillole di acido folico, tantissime bottiglie di alcolici. «C’erano anche resti di fili di rame, probabilmente provenienti da un traliccio che c’è lì vicino». Rubati? «No, probabilmente dimenticati dagli operai che avevano il compito di fare la manutenzione. In uno degli appuntamenti passati ci siamo imbattuti anche in un intero pezzo di guard rail».

Adesso, i sacchi – differenziati – saranno recuperati dagli uomini dell’ufficio Ecologia del Comune di Belpasso, col quale i giovani si sono messi in contatto prima di cominciare la pulizia. «Di solito ci vogliono un paio di giorni: noi finiamo, comunichiamo con gli uffici di lunedì mattina e i dipendenti vengono a riprendere i sacchi. Poi noi controlliamo e se non lo fanno telefoniamo per sollecitare – continua Giuseppe Distefano – Ma noi non abbiamo mai avuto problemi in questo senso». Cosa che invece è accaduta nei mesi scorsi con l’iniziativa Meglio Parco che sporco, promossa dall’Ente Parco dell’Etna e trasformatasi presto in un vespaio di polemiche. «Conosciamo le altre iniziative simili, ma noi puntiamo a essere più concreti. In meno di sette mesi abbiamo tirato giù circa 1700 chili di spazzatura, viene da chiedersi perché i volontari debbano fare il lavoro che spetterebbe, di fatto, a persone che fanno questo mestiere – aggiunge – Da parte delle istituzioni non abbiamo mai ricevuto nessuna richiesta di informazioni: quanto abbiamo speso? Quanto ci sono costati i guanti? Questo, a nostro avviso, è sintomo di indifferenza nei confronti di chi si rimbocca le maniche per rendere più pulito l’ambiente in cui tutti viviamo».

Dopo la pulizia di un giorno, però, deve arrivare il momento in cui si costruisce per il futuro. Come anticipato a MeridioNews a novembre, l’obiettivo è costruire una vera e propria mappa interattiva: «Noi affrontiamo la raccolta dei rifiuti sull’Etna in maniera scientifica: tracciamo il perimetro delle aree ripulite, indichiamo abbondanza e densità di munnizza e in cantiere abbiamo un’applicazione affinché siano i cittadini a denunciare, con le loro immagini, le microdiscariche». Un modo per coinvolgere i cittadini perché «finché le persone stanno dietro la tastiera ci appoggiano, ma quando si tratta di sporcarsi le mani restano a casa». Anche se più braccia servirebbero: «Stavolta abbiamo trovato un tubo di amianto molto grosso e pesante. In un’altra circostanza abbiamo trovato la ruota di un camion che abbiamo stimato pesasse, da sola, intorno ai 220 chili. Peraltro si trovava in una zona difficile da raggiungere, con un muretto a delimitare la strada: chissà da quanto tempo era stata gettata là affinché nessuno la trovasse».

Un po’ come il televisore a tubo catodico, sotterrato solo cinquanta centimetri di terra. Un vero e proprio pezzo vintage tornato alla luce ieri, assieme a segnaletica stradale, siringhe «che probabilmente non hanno ospitato farmaci» e lattine di alluminio che dovrebbero stare in un museo «perché vengono direttamente dagli anni Ottanta». «Abbiamo trovato anche batterie di automobili, intere o distrutte – conclude Giuseppe Distefano – Ricordiamo che si tratta di oggetti che contengono componenti chimici, che penetrano nel suolo e possono arrivare alle falde acquifere. L’inquinamento non è solo quello che si vede, è quello che resta nel terreno anche dopo che il rifiuto è stato rimosso. Quello che pesa è sapere che è sempre colpa nostra, dell’inciviltà dei catanesi. Ieri mattina abbiamo incontrato una famiglia di indiani venuta in quella zona a fare un pic-nic. Ci siamo offerti di dare loro i nostri sacchi della spazzatura, li hanno rifiutati perché avevano portato i loro. Mentre noi eravamo costretti a raccogliere piatti, forchette e coltelli e perfino carne in putrefazione».

Luisa Santangelo

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