Diritti civili, la maternità in un coppia lesbica «In Italia non si può fare neanche l’eterologa»

Adele è un nome di fantasia. «Perché la mia famiglia e i miei amici non sanno del tentativo di fecondazione che abbiamo fatto; non vorrei dare loro la brutta notizia, che non sono incinta, così». Lei e la sua compagna sono una coppia lesbica, una delle tante che ogni anno varcano i confini dell’Italia alla ricerca di un Paese nel quale poter effettuare la fecondazione. «Non ho mai nascosto la mia omosessualità, la vivo tranquillamente», racconta. Ma per Adele – originaria della provincia di Catania – «è impossibile affrontare un trattamento di procreazione assistita». In Italia permesso dal 2004 alle sole coppie eterosessuali.

«Pochi mesi fa in Spagna ho tentato una fecondazione di primo livello, prevede l’inserimento degli spermatozoi nell’utero». Nel caso della donna e della sua compagna, ovviamente, il donatore è esterno alla coppia, elemento vietato dalla legislazione italiana. «Il medico mi ha spiegato che per facilitare la fecondazione si deve evitare lo stress, ma a queste condizioni è impossibile», sbotta. «Prima ci sono le analisi e i controlli – elenca – poi si deve pensare al viaggio e a tutto il resto». Difficile mantenere la calma. «Mi hanno detto anche di fare attenzione a scendere le scale dell’aereo, per evitare di far scoppiare i follicoli». Aiutata dalla compagna, Adele cerca di seguire tutte le precauzioni. «Però il primo tentativo, purtroppo, non è andato a buon fine».

È una procedura molto impegnativa dal punto di vista economico, ma anche da quello emotivo

Poche settimane dopo è entrato nel vivo il dibattito sulle unioni civili e la stepchild adoption. Di certo non un cambiamento epocale per chi invoca diritti più ampi, «ma era pur sempre un inizio. Fino a che non hanno stralciato il riconoscimento del figlio del compagno o della compagna», commenta con amarezza la donna. Che giudica in maniera negativa come è stato svolto il confronto tra le parti. «Hanno tirato in ballo l’utero in affitto, un elemento che non era nemmeno in discussione, e così hanno fatto confusione. Hanno agitato questo spauracchio e il risultato è stato questo».

Eppure, a ricorrere a misure di maternità surrogata all’estero «per la maggior parte sono le coppie eterosessuali, non quelle omosessuali», tiene a precisare Adele. In Europa la meta privilegiate sono due: «Spagna e Danimarca – spiega – Qui l’inseminazione di primo livello costa circa 700-800 euro, quella di secondo livello (più complessa, prevede diverse fasi, ndr) è circa cinque-seimila euro. Molti vanno anche a Kiev, in Ucraina». Oltreoceano si va negli Stati Uniti o in Canada. A queste spese si devono aggiungere anche quelle per gli spostamenti.

«È una procedura molto impegnativa dal punto di vista economico, ma anche da quello emotivo». Per questa ragione la donna ha scelto di non rivelare il proprio nome. «Quando tutto andrà a buon fine, non avrò problemi a raccontarlo», sorride. Adele i prossimi mesi si sottoporrà a un nuovo trattamento, questa volta di secondo livello, per poter restare incinta. «Noi abbiamo maturato questa decisione – afferma – Ci siamo informate, siamo consapevoli: vogliamo un figlio».

Carmen Valisano

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