Il detenuto morto sabato sera nel carcere Ucciardone di Palermo era «cardiopatico, diabetico, con gravi problemi respiratori e per questo ricorreva all’ossigenoterapia. Era assistito da un piantone e, quando ha avuto la crisi cardiaca, è stato seguito dal medico e da due infermieri. Una persona con queste patologie può non scontare la pena in maniera alternativa?». È la domanda che si pone Pino Apprendi, il garante dei detenuti di Palermo.
Dopo la morte per arresto cardiaco di un detenuto nell’ottava sezione dell’istituto penitenziario e la protesta, scattata poco dopo (i due eventi non sarebbero collegati) nella nona sezione dello stesso carcere, Apprendi ha voluto incontrare alcuni detenuti per «capire le motivazioni che li avevano spinti a tale decisione. Ho avuto modo di ricevere le necessarie informazioni dal direttore sanitario Gaetano Anello, in presenza del direttore del carcere Fabio Prestopino», dice il garante.
Apprendi sottolinea pure che nella nona sezione «si trovano persone rinchiuse con l’isolamento a tempo che difficilmente si esaurisce, proprio perché le condizioni sono disumane e la protesta è dietro l’angolo. E ci sono anche persone con gravi problemi psichiatrici. In poco più di dieci metri quadrati – aggiunge – senza potere fare alcuna attività che tenda a un possibile ravvedimento e conseguente reinserimento nella società. Due ore per passeggiare al mattino e due ore al pomeriggio, che spesso diventano un’ora e mezza per la mancanza di personale».
«Passeggiando per modo di dire – sottolinea Apprendi – ci sono fino a 18 persone in circa 30 metri quadrati, con un gabinetto alla turca, senza acqua e circondati da rifiuti, bottiglie di plastica, sterpaglie ed escrementi vari. Chi salta la doccia al mattino non può farla il pomeriggio, perché doccia e passeggiata sono in contemporanea. Poi si aggiungono episodi che scatenano rabbia, come quello di avere comunicato che sabato pomeriggio non sarebbero usciti dalla cella per telefonare. Oppure – conclude Apprendi – l’episodio di mercoledì, quando i parenti, anche provenienti da Catania e Siracusa, sono stati rimandati a casa senza fare il colloquio e senza consegnare il cibo che avevano portato».
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