Depistaggio, i dubbi dell’avvocata su parole di Di Matteo  Di Gregorio: «Secondo lui perdiamo tempo su minuzie»

«La cosa inquietante è il giudizio espresso nel corso della deposizione». È, ancora una volta, molto dura la riflessione a posteriori dell’avvocata Rosalba Di Gregorio rispetto all’ultima udienza del processo a carico di Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. I tre ex funzionari del gruppo Falcone-Borsellino devono rispondere di calunnia aggravata, di aver avuto un ruolo nella creazione e manipolazione del finto pentito della strage di via D’Amelio Vincenzo Scarantino. L’ultimo, in ordine di tempo, ad essersi seduto sul banco dei testimoni, appena due giorni fa, è stato l’ex pm Nino Di Matteo, oggi consigliere al Csm, che ha deposto per oltre sei ore a Caltanissetta. Innescando le amare considerazioni, a posteriori, dell’avvocata Di Gregorio, parte civile al processo in cui rappresenta Gaetano Murana, Cosimo Vernengo e Giuseppe La Mattina.

«Di Matteo accusa di nuovo oggi i due avvocati (di Scarantino ndr), ai tempi ingiustamente accusati di aver contribuito alla ritrattazione, e i parenti del “pentito” pure – scrive -. E non gli importa di sapere se quelle accuse, sebbene indagassero loro stessi, non portarono a nulla perché infondate. Per il resto, tutti i pm hanno sempre e ovunque “preparato” (in senso neutro) i pentiti prima delle udienze, fuori verbale ma durante un verbale ove si scriveva altro. Lui però non preparò Scarantino.
Noi dovremmo ricordare il “contesto” del tempo e – continua, tirando in ballo le spiegazioni fornite dallo stesso Di Matteo in udienza -, visto l’immane lavoro complessivo fatto all’epoca, ancorché senza esito, non dovremmo fissarci sul solo segmento Scarantino. In pratica, gli attuali pm, che hanno portato a giudizio questi poliziotti, assolutamente innocenti, per non parlare di Messina – dice ancora, alludendo all’indagine a carico di Annamaria PalmaCarmelo Petralia per calunnia aggravata -, stanno perdendo tempo… Trascurando le indagini ai tempi iniziate su Contrada e Berlusconi. E il Tribunale ci sta consentendo, a tutti quanti noi perdigiorno, di continuare a far perdere tempo su queste minuzie».

Una sintesi articolata in cinque punti, con cui l’avvocata Di Gregorio ripercorre sostanzialmente i passaggi principali affrontati dallo stesso Di Matteo nelle oltre sei ore di deposizione. Partita dal racconto del suo arrivo alla Procura di Caltanissetta, elle complesse indagini di cui si occupa all’inizio fino all’indagine su via D’Amelio, a cui comincia a dedicarsi dal novembre ’94. «Siccome le carte le ha studiate – torna a scrivere nelle sue considerazioni l’avvocata -, era giusto chiedergli se quelle carte che la Procura sta trovando ora (nei fascicoli “ ignoti “ messe negli archivi) lui le aveva viste, oppure se gli imputati poliziotti o i suoi colleghi pm gliele avevano fatte leggere o almeno gliele avevano raccontate. O no?». Ma pare non sia stato così. Nel senso che nessuno, a detta dell’ex pm Di Matteo, lo aveva mai ragguagliato, ad esempio, rispetto ai dieci colloqui investigativi fatti con Scarantino, quando però lui già collaborava. Cose per cui, oggi, lui ribadisce che, se le avesse sapute, non le avrebbe mai consentite. «Ma intanto le hanno fatte e non lo hanno informato – scrive ancora la legale -. Non gli hanno detto che Scarantino ad Angelo Mangano, nel ‘95, nel “ ritrattare” a Studio Aperto, aveva accusato Arnaldo La Barbera di averlo fatto falso pentito. Ai tempi sequestrarono tutto il trasmesso e il non trasmesso, ma non glielo hanno detto. La signora Scarantino (Rosalia Basile, all’epoca sua moglie ndr) ai tempi scrisse lettere a mezzo mondo accusando La Barbera e i suoi di tante cose».

Lettere che però, a Di Matteo, non avrebbe mai fatto leggere nessuno. Né i colleghi pm, né i poliziotti. «E nemmeno gli hanno raccontato che belle telefonate c’erano fra Scarantino e loro pm e i poliziotti – continua a dire -. Gli raccontavano che era tutto per cose logistico-amministrative. Non gli hanno detto nemmeno che Tinebra aveva chiesto al Sisde di fare le indagini… Lui invece sul Sisde indagava… in verità indagava su Contrada, ma in via D’Amelio non lo ha potuto considerare presente. E mentre prima di lui e dopo, a pochi metri da lui, si costruiva prima e si manteneva in piedi poi, il pentito farlocco, mentre si faceva il processo bis e persino a uno dei due pm titolari, cioè a lui, non si davano tutte le carte, il nostro già si occupava di collegare Berlusconi alle stragi. E per giunta gli facevano fare pure i processi a Gela, mentre gli altri facevano solo il pool stragi».

Che lo abbiano, quindi, oberato di impegni e di lavoro? Si domanda ancora la legale. «E poi non lo informavano neppure. Magari il carico di lavoro serviva a distrarlo dal via vai delle carte che nascevano nel processo stragi e poi migravano in cantina – ironizza -. Certo però che, con tutte queste carte, piste e indagini, a lui Scarantino, il depistaggio , gli innocenti in galera e poi la revisione ecc ecc sembrano solo un “ segmento” , una cosa con cui noi disturbiamo, mentre magari dovremmo tutti quanti (dai pm agli avvocati e pure il tribunale) portare avanti la pista Contrada e quella Berlusconi. Perché via D’Amelio non fu solo mafia – dice, riprendendo ancora una volta le frasi dello stesso Di Matteo in aula -. Veramente ai tempi noi avvocati siamo stati zittiti perché, sempre ai tempi, doveva essere solo mafia. Per assioma. Ma noi, che siamo limitati , ci stiamo occupando del “segmento “ ancora e non voliamo e non planiamo nei cieli alti delle indagini … perché stiamo qua miserelli a cercare ancora di rimediare agli inchiappi fatti da altri nel “segmento”».

E rivendica il suo diritto di avvocato di parte civile di fare al teste di turno le domande. Che secondo altre parti in causa sarebbero a volte troppo capziose o provocatorie, ma che intanto vengono ammesse dal tribunale e quindi ritenute «legittime e appropriate». «In ogni caso – torna a dire l’avvocata Di Gregorio -, visto che all’inizio dell’esame Di Matteo ha difeso tutti, sia gli imputati del processo sia gli altrove oggi indagati (Palma e Petralia ndr), con convinzione, oltre che con l’autorevolezza del suo ruolo, era pure grazioso, direi perfino affettuoso fare quelle domande. Se lui, che è teste puro, non ha saputo mai né sospettato mai che Scarantino era stato fatto pentire, è corretto che gli siano diventati noti certi fatti a lui ignoti. Funziona così. E se poi uno dice e tanti pensano che quel “pool stragi” non faceva circolare al suo interno né alcune carte né alcune notizie, certo, allora è giusto offendersi. Ma non con noi parti processuali».

Silvia Buffa

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