«Potremmo tornare indietro nel tempo anche di dieci anni, bisogna vedere cosa quanta documentazione troveremo». La frase è di uno dei militari che nelle ultime ore si sono presentati negli uffici della Ragioneria generale della Regione e in quelli del dipartimento Territorio e Ambiente. Guardia di finanza e Capitaneria di porto hanno ricevuto la delega dalla Corte dei conti nell’ambito di un’indagine aperta per verificare la gestione del demanio marittimo regionale. Nel mirino della procura contabile c’è infatti la riscossione dei canoni che i gestori degli stabilimenti situati nelle coste sono chiamati a corrispondere, in cambio della possibilità di sfruttare le bellezze dei litorali.
La questione è una: la Sicilia riscuote una cifra decisamente più bassa rispetto a quanto ci si aspetterebbe da una regione circondata dal mare. Cifre non paragonabili, per esempio, a ciò che riesce a fare l’Emilia Romagna, pur essendo bagnata dal mare soltanto per un tratto. L’indagine della Corte dei conti punta a individuare eventuali inadempienze da parte della pubblica amministrazione, anche se non è escluso il concorso della parte politica. L’arrivo delle forze dell’ordine negli uffici non può peraltro essere definito una sorpresa. Nel 2017, nella relazione con cui la Corte dei conti bocciava il bilancio regionale, si leggeva: «La gestione, ancorché formalmente corretta sotto il profilo della rendicontazione, è ben lungi dal potersi considerare soddisfacente e lascia trasparire seri profili di illecito erariale per i quali sarà attivata la locale Procura regionale». Nel testo si sottolineava inoltre come l’ultimo censimento risalisse al 2011.
In tempi più recenti il demanio marittimo è finito al centro dell’attenzione dell’assessorato guidato da Toto Cordaro. La difficoltà a reperire la documentazione completa è emersa di pari passo con il sentore che l’intero settore sia da anni pressoché fuori controllo. Un tentativo di regolamentare il sistema delle concessioni, innalzando anche il valore delle stesse, a dire il vero era stato fatto nel 2013, quando l’allora governo Crocetta si apprestava ad approvare la prima finanziaria: la giunta guidata dall’ex sindaco di Gela propose – e poi inserì nella legge di stabilità – un aumento del 600 per cento dei canoni, prevedendo una crescita degli introiti di 32 milioni, passando da otto a 40. Così però non fu, e non solo per motivi legati all’operatività degli uffici. Poco dopo, infatti, un decreto dell’assessora e vicepresidente della Regione Mariella Lo Bello prorogò fino alla fine del 2015 le concessioni alle stesse condizioni vigenti.
Tornando al presente, mancavano pochi giorni a ferragosto, quando la Regione ha inviato 63 commissari ad acta in altrettanti Comuni per la mancata redazione dei piani di utilizzo delle coste. Ovvero gli strumenti fondamentali per determinare l’urbanizzazione dei litorali e, al contempo, rilasciare eventuali nuove concessioni. Il tema del demanio marittimo, infine, è venuto fuori infine anche in seguito alle azioni che hanno interessato il demanio boschivo. A partire dalle problematiche inerenti le modalità poco trasparenti con cui in passato le concessioni venivano rilasciate, specialmente per quanto riguarda il raro ricorso alle gare pubbliche.
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