Dalla guerra in Afghanistan a un lavoro in Sicilia Qari il mediatore culturale, Seyed il panettiere

Hanno fatto un viaggio di migliaia di chilometri e alla fine hanno scelto di vivere a Mazzarino. Seyed e Qari ce l’hanno fatta. La loro volontà di costruirsi un futuro in pace è stata più forte di tutto. «La fortuna mi ha portato qui, dove ho avuto la possibilità di rifarmi una vita», esordisce il giovane afghano Qari, 26enne che dimostra più rughe della sua età. «Sono fuggito – racconta il giovane – dal mio Paese con alcuni amici per raggiungere l’Europa. Nascosti sotto un tir, siamo arrivati in Turchia passando per l’Iran dove abbiamo rischiato di essere uccisi dalla guardie di frontiera che sparano a vista». Tappe di un’odissea che accomuna tanti ragazzi afghani e che si conclude spesso con la detenzione illegale in Grecia. 

Anche Qari conosce il carcere ellenico per un mese e otto giorni, perché viene ritrovato senza documenti. Una volta libero, inizia a lavorare nei campi attorno ad Atene per racimolare i soldi necessari a proseguire il viaggio. Nel 2007 l’arrivo a Crotone e l’incontro con gli operatori della comunità per minori I Girasoli di Mazzarino che cambierà il corso della sua vita. «All’inizio – spiega il 26enne – ero intenzionato a raggiungere i miei amici a Londra, ma poi ho cambiato idea perché nel centro ho trovato la mia nuova famiglia che mi ha aiutato a integrarmi con i residenti del posto».

Il giovane afghano sembra uno abituato a farcela sempre: impara in fretta l’italiano e si diploma. Ben presto da ospite diventa lui stesso un operatore dello Sprar, collabora come mediatore culturale con la Questura e il tribunale di Caltanissetta, è un punto di riferimento per molti richiedenti asilo. Racconta che la mediazione fa parte della sua natura: oltre a parlare correttamente cinque lingue (pashtu, farsi, persiano, urdu, italiano), possiede un’innata predisposizione ad approcciarsi agli altri. Oggi Qari vive a Mazzarino con la sua famiglia. «Dopo anni di lontananza, finalmente mi sono ricongiunto a mia moglie e ai miei figli. Il nostro quarto bambino, Ahmed, è nato qui», sorride mentre mostra una foto dei piccoli.

Un ricongiungimento che, invece, continua a sognare Seyed, afghano di 23 anni, pure lui condotto dalla sorte a Mazzarino dove adesso lavora come panettiere. Il racconto della sua vita è segnato da momenti drammatici, eppure non ha mai perso il sorriso contagioso. Il padre muore durante un incidente mentre cerca di raggiungere la scuola in cui insegna. Rimasto orfano, Seyed è costretto a provvedere alla madre e alla sorella. «Non dimenticherò mai il giorno in cui mia madre indossò il burqa per andare a cercare un lavoro per me. Ero molto piccolo e nessuno voleva assumermi. Grazie a lei iniziai in un panificio», racconta. La stessa madre lo spinge a partire per allontanarsi da una situazione famigliare complicata. «Mio zio talebano aveva convinto il mio migliore amico a seguirlo e lo stesso voleva fare con me. Il giorno in cui lo vidi morire davanti ai miei occhi, iniziai a soffrire di questo tremore alle mani», ammette Seyed mostrando la conseguenza, ancora ben visibile, di quel trauma. 

Il giovane nel 2009 scappa dalla guerra e raggiunge l’Iran, dove si unisce ad alcuni suoi connazionali. In Grecia viene incarcerato per un breve periodo di tempo al termine del quale riesce ad arrivare in Italia. Fermato e identificato, dopo una tappa di tre giorni a Roma, finisce al Cara di Pian del Lago e da qui alla comunità per minori stranieri non accompagnati I Girasoli. «Quando sono arrivato – spiega – non mi fidavo di nessuno. Mi sentivo solo e triste. Gli operatori del centro mi hanno aiutato tantissimo e incoraggiato in tutte le mie scelte. Senza di loro non sarei quello che sono ora», confessa. Le sofferenze vissute, così come il suo tremore alle mani, non lo abbandoneranno mai. Ma oggi Seyed lavora in un panificio del piccolo paese e sogna di potersi ricongiungere all’amata moglie rimasta in Afghanistan. 

Concetta Purrazza

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