Al momento hanno superato Lampedusa. E ora, oltre l’ultimo lembo di Sicilia sul mar Mediterraneo, sono davvero soli. Su uno specchio d’acqua che, come dice Luca Casarini, «è diventato un deserto e un cimitero». I componenti e le componenti della nave Mare Jonio da sabato sono tornati a solcare il Canale di Sicilia, partendo dal porto di Palermo. Il mare finora è rimasto calmo, anche se nei prossimi giorni si attende un forte vento. Il progetto di Mediterranea Saving Humans – la piattaforma delle associazioni italiane che si alterna con le organizzazioni non governative Sea Watch e Open Arms nell’azione di monitoraggio e di denuncia sulle migrazioni – è tornato, dopo mesi di lavoro sull’imbarcazione e di attività di sensibilizzazione sparse in tutta Italia, a ciò che è il suo obiettivo primario. Ovvero provare a salvare vite umane, quelle di coloro che dall’Africa cercano di arrivare in Italia in cerca di un riscatto.
Proprio ieri il ministro degli Interni Matteo Salvini ha sbandierato i dati del Viminale: dal primo gennaio 2019 al 15 marzo sono 335 i migranti sbarcati in Italia mentre nel 2018, nello stesso periodo di riferimento, erano 5.945, cioè una diminuzione del 94,37 per cento. I rimpatri dall’inizio dell’anno fino al 13 marzo sono stati 1.354, di cui 1.248 forzati e 106 volontari assistiti: le espulsioni dunque sono quadruplicate rispetto agli arrivi. «Un solo cadavere recuperato in questo 2019 – ha aggiunto il vicepremier in un comizio a Potenza – I dati confermano che passiamo dalle parole ai fatti». Allora qual è il senso del viaggio di Mediterranea?
«Questa è la prima missione del 2019, aprirà un ciclo di sei missioni programmate fino a giugno – dice Luca Casarini, che fa parte dell’equipaggio della nave per la seconda volta – Il nostro obiettivo è di essere lì dove accadono le cose che il governo vuole nascondere. È chiaro poi che siamo attrezzati anche per offrire pronto soccorso ai naufraghi, chiunque essi siano. Il senso è quello che di fronte un dramma del genere come quello delle migrazioni non ci si può voltare dall’altra parte. Per noi è importante essere riusciti, con l’aiuto della società civile e di migliaia e migliaia di cittadini, a coprire il vuoto lasciato dalle autorità. Quello che gli Stati dovrebbero fare, cioè rendere sicuro il mare e occuparsi di un dramma umanitario come quello dei campi di concentramento in Libia, è fare invece il vuoto. Noi sappiamo che meno sbarchi significa più morti e più torture in Libia».
Al momento tra la nave Mare Jonio e le autorità preposte sul mare non c’è stato nessun contatto. «Abbiamo solo letto qualche tweet» commenta Casarini, rifererendosi all’intensa attività social dell’inquilino del Viminale. Intanto Mediterranea si avvicina sempre più all’obiettivo dei 700mila euro necessari per finanziare l’intera operazione: le donazioni hanno da poco superato i 580mila euro. Prima della partenza della nave Jonio gli animi sull’imbarcazione sono sereni. Tutti sono consapevoli dell’importanza del viaggio e, benché in teoria uno dei compiti prefissati sia il monitoraggio, ci si prepara al possibile incontro con qualche gommone carico di persone. Visibili, insomma, e non più invisibili. Ma da chi è composto l’equipaggio della nave Jonio e come è stato selezionato?
«Innanzitutto oltre alla nave abbiamo anche una barca a vela di 12 posti – spiega Giulia – Ci sono in tutto sette marinai, quattro passeggeri che fanno parte della crew operativa e di cui fanno parte ad esempio un medico, un infermiere e un avvocato. Ci sono poi le altre figure necessarie: un mediatore, che è importantissimo, un coordinator, altre cinque persone che si occupano del rescue, giornalisti e documentaristi. Chi più chi meno aveva esperienze in mare, ma comunque attraverso un percorso di training tenuto da alcune ong, ci siamo formati in maniera più specifica. Io in generale non credo che le persone non partano più dall’Africa, quanto piuttosto che ci sia un efficientissimo blocco di respingimento da parte della Libia che è finanziato dai governi europei. Mi aspetto di trovare, come già capitato, segni di violenza sulle persone che cercano di trovare una vita diversa. E mi aspetto di costruire ponti invece dei muri, per fare in modo che ci sia una storia diversa».
La stiva della nave Jonio, poi, fa storia a sé, piena com’è di viveri di prima necessità da fornire ad eventuali naufraghi da soccorrere. Mentre l’equipaggio ha ritagliato uno spazio per la cucina tra cibi liofilizzati, barrette di cereali e frutta secca e tantissimo olio di semi. Cosa ci si aspetta di trovare e quale sarà la prima assistenza medica da fornire? «Le persone saranno certamente denutrite ma ancora più certamente disidratate, ecco perché abbiamo portato molti sali minerali – afferma il giovane dottore Guido Di Stefano – Ci saranno poi casi di ipoglicemia. Ci aspettiamo di trovare moltissimi casi di scabbia che, al contrario dello spauracchio, si cura con una semplice pomata che qui abbiamo. E poi molte ustioni da benzina più acqua di mare. Ci possono essere poi quadri meno specifici dati dal lungo viaggio e dalla situazione in Libia. Siamo attrezzati infine anche per i parti, visto che in questi barconi di solito sono molte le donne gravide».
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