Torna alla luce un’altra pagina fondamentale del nostro passato, segno tangibile di una battaglia cruciale che ha cambiato il corso della storia. Tra i 75 e i 95 metri di profondità, nei fondali a nord-ovest dell’isola di Levanzo, dove è stata combattuta, tra Romani e Cartaginesi, la battaglia delle Egadi, nel 241 a.C., pochi giorni fa sono stati recuperati due rostri in bronzo, classificati come Egadi 12 ed Egadi 13, che si aggiungono agli undici già recuperati nel passato, e dieci elmi in bronzo.
L’eccezionale ritrovamento è il frutto di una straordinaria sinergia, nell’ambito della campagna di ricerche Egadi Project 2017, tra la Soprintendenza del Mare e la Global Underwater Explorer, in collaborazione con l’ex Stabilimento Florio delle Tonnare di Favignana e Formica, il Comune di Favignana, l’AMP Isole Egadi e la RPM Nautical Foundation. «È un risultato eccezionale sotto il profilo scientifico, poiché aggiunge altri reperti con caratteristiche assolutamente inedite a quelli già noti e recuperati, e che certamente potranno apportare nuovi dati tipologici, tecnici, epigrafici e storici», spiega a Meridionews Sebastiano Tusa, Sovrintendente del Mare della regione siciliana.
La novità scaturita da questa campagna di ricerche – partita nel 2004 e che nel corso degli anni ha restituito centinaia di arnesi tipici dell’epoca tra elmi, anfore e oggetti in ceramica, che facevano parte della dotazione di bordo delle navi – è costituita da uno degli elmi recuperati, detto di Montefortino. Questa parte tipica dell’armatura romana ha una peculiarità estremamente rara, rispetto alle altre, in quanto sulla sua sommità ha un elemento applicato in rilievo che riproduce una pelle di leone che sembra abbracciare la pigna centrale che ne abbellisce la punta. «Questo ornamento legato al mito di Ercole – aggiunge Tusa – ci spinge a ulteriori ricerche per capire perché questo ignoto milite aveva questa decorazione sul suo elmo. Sappiamo che Roma in quest’ultima battaglia fu aiutata dalle città alleate ed è probabile che questo indizio ci dia adito a individuare alcune di queste città».
Ipotesi a cui si affianca la possibilità che questa decorazione rappresenti un’insegna che indicherebbe un ruolo gerarchico nell’ambito dell’esercito romano. I pretoriani, che rappresentavano il corpo istituito più di due secoli dopo da Augusto, talvolta adornavano il proprio elmo con una reale pelle di leone. Supposizioni preliminari, che saranno vagliate e approfondite, e che avranno come oggetto di studio anche l’altra fondamentale scoperta sottomarina, che ha arricchito il patrimonio storico e culturale siciliano, con due rostri di grande rilevanza. Un’arma micidiale, montata sulle antiche navi da guerra, costituita da tre lame sovrapposte e da un elemento centrale verticale, che agiva generalmente sul pelo dell’acqua, per essere scagliata come un siluro sulle imbarcazioni nemiche, per spezzare i remi e distruggere l’apparato veliero.
«Egadi 12 è un rostro molto diverso dagli altri – prosegue il sovrintendente – perché ha una decorazione laterale abbastanza interessante e pregiata, dato che la lama centrale del tridente ha un’impugnatura simile a quella di una spada e le altre due, sovrastante e sottostante, hanno una decorazione a testa di uccello. Caratteristica finora nota soltanto nel rostro di Acqualadroni, che la Soprintendenza del Mare ha recuperato alcuni anni fa nelle acque di Capo Rasocolmo, nei pressi di Messina e oggi esposto nella città dello Stretto. «Anche Egadi 13 è molto interessante perché ha un’iscrizione di origine cartaginese, che è stata parzialmente letta, dove si notano delle lettere dell’alfabeto punico – aggiunge Tusa -. Probabilmente è differente rispetto a quella presente sul rostro Egadi 3, ritrovato alcuni anni fa».
Le immersioni esplorative, che sono state concentrate sulla probabile zona di ancoraggio della flotta romana, a ridosso dell’isola di Levanzo, hanno visto alternarsi immersioni diretta dei subacquei, per la forte presenza di rocce sul fondale marino, insieme ai side scan sonar e multibeam, apparecchiature elettroniche più versatili nelle aree a fondo piatto e sabbioso, segno di un sistema di ricerca di grande pregio, che costituisce un’eccellenza a livello mondiale. «Il percorso metodologico adottato – spiega Tusa – rappresenta un eccellente esempio di giusto equilibrio fra ricerca strumentale e intervento diretto dell’uomo. Anche questi reperti – conclude – dopo essere trattati, ripuliti e consolidati verranno esposti a Favignana, all’ex stabilimento Florio».
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