Da Vito Ciancimino alle stragi del ‘92

Dopo mesi di silenzio mediatico e giudiziario ecco ritornare all’ordine del giorno il ‘tesoro’ di Vito Ciancimino. La ribalta è del Gip del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini, che il 15 aprile scorso ha rigettato la richiesta di archiviazione, avanzata da due procuratori della DDA di Palermo, Roberta Buzzolani e Lia Sava, con la quale si proponeva di mettere la parola fine alle indagini investigative estere sul ‘tesoro’ di ‘Don Vito’ in Romania, a Bucarest, nella società proprietaria della discarica più grande d’Europa. Una vicenda che coinvolge – con l’ipotesi di reato di riciclaggio e intestazione fittizia di beni – Massimo Ciancimino e l’avvocato Giorgio Ghiron.

Questa decisione del Gip, a ben vedere, si intreccia con altri due procedimenti penali pendenti. Il primo è quello presso il Tribunale di Caltanissetta per le indagini sulle stragi Falcone e Borsellino e l’altro è quello pendente dinanzi alla Sezione misure di prevenzione, giudice Silvana Saguto, del Tribunale di Palermo, che si sta occupando della confisca della quota della società Gas spa intestata a Gianni Lapis e ricondotta al ‘tesoro’ di Vito Ciancimino nella stessa Gas spa. Però per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro.

 

Il sequestro delle società rumene della holding Sirco spa

Ricorderete di avere letto, appena lo scorso giugno 2011, come un’altra ‘tegola’ giudiziaria si fosse abbattuta sul capo di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo ‘Don Vito’. Questo succedeva quando Massimo Ciancimino si trovava in carcere con l’accusa di calunnia aggravata nei confronti di Gianni De Gennaro e di detenzione di esplosivo. La ‘tegola’ era stata lanciata dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, presieduta dal giudice Silvana Saguto, che aveva depositato un provvedimento di sequestro per tre imprese di diritto rumeno che facevano capo alla Sirco spa, azienda già confiscata alla famiglia Lapis perché ritenuta dei Ciancimino e amministrata giudiziariamente dall’avvocato Gaetano Cappellano Seminara.

Nella Sirco spa azionisti erano i Campodonico e l’avvocato Gianni Lapis (foto sotto tratta da youfeed.it), quest’ultimo ritenuto prestanome di ‘Don Vito’, condannato per riciclaggio insieme allo stesso Massimo Ciancimino nell’ambito della famosa inchiesta sul ‘tesoro’ dell’ex sindaco di Palermo. In pratica, si è proceduto a sequestrare una parte importante del ‘tesoro’ dell’ex sindaco che il figlio, con l’aiuto del professore Lapis, avrebbe riciclato in Romania: in totale 300 milioni.

 

Gli affari in Romania

Si tratta delle società Agenda 21 Sa, dell’Alzalea e, soprattutto, di Ecorec, l’azienda proprietaria della più grande discarica d’Europa a Gline nel, Comune di Bucarest, estesa su 114 ettari e in grado di accogliere rifiuti per 47,6 milioni di metri cubi. Un affare che, considerando una tariffa media di cinque euro (in Italia in media la tariffa è di 70 euro a metro cubo), potrebbe garantire un fatturato totale di 238 milioni. Bisogna dire che i Ciancimino e il professore Gianni Lapis le operazioni finanziarie le hanno sapute ‘pilotare’, dalla Gas gasdotti spa (la società che ha metanizzato una cinquantina di Comuni siciliani, operando anche in altre regioni italiane, a cominciare dalla Puglia), venduta agli spagnoli della Gas Natural per 120 milioni di euro, alla Ecorec di Bucarest del valore di 300 milioni di euro.

Secondo il giudice delle misure, Silvana Saguto – e sulla base di un rapporto della Guardia di Finanza consegnato ai magistrati della Procura antimafia di Palermo il 26 aprile del 2009 – Massimo Ciancimino e Gianni Lapis sarebbero rimasti i veri titolari delle aziende solo formalmente partecipate da altri. Altri come Raffaele Valente, fittizio proprietario di Palazzo Pepoli a Bologna in cui abita la famiglia di Massimo Ciancimino e in contatto con Francesco Martello, già condannato, e ancora i fratelli Sergio e Giuseppe Pileri, e la messinese Santa Sidoti, moglie del faccendiere Romano Tronci, già coinvolto nell’inchiesta sul riciclaggio a carico dei Ciancimino e che è stato ed è consulente delle società sequestrate, e ancora il rumeno Viktor Dombroskj, direttore generale e azionista di Ecorec.

 

L’arte finanziaria del professore Lapis : svuotare l’Agenda 21.

Tutto per togliere di mano la Agenda 21 all’amministratore giudiziario. Infatti, grazie a un’azione che ha sicuramente un’abile regia, i soggetti (secondo la Guardia di Finanza in contatto costante con Ciancimino junior), non potendo acquistare Agenda 21 per via delle resistenze dell’amministratore giudiziario, puntano a svuotare completamente la Sirco spa ormai in mano allo Stato per via del sequestro, togliendole il braccio operativo in Romania, Agenda 21 appunto: Dombrowskj (ma chi è costui? e da dove viene fuori? e quali sono i suoi veri rapporti con Lapis e con Massimo Ciancimino?) emette un titolo di credito di un milione nei confronti di Ecorec di cui è direttore generale ed è garantito da un avallo di Agenda 21 a firma dell’amministratore Sergio Pileri. Di fronte al mancato rimborso, Dombrowskj non agisce contro il debitore (Ecorec), ma contro Agenda 21 che aveva avallato il titolo di credito e provvede a pignorare la partecipazione di Agenda 21 in Ecorec (l’82% del capitale). Ed è sempre Dombrowskj a proporre l’incanto della partecipazione pignorata: sarà il fidato Raffaele Valente, che è anche amico dell’ingegnere Romano Tronci e prestanome di Ciancimino junior, attraverso la sua Alzalea, ad aggiudicarsi l’asta e da quel momento Agenda 21 resta una scatola vuota (ovvero il suo contenuto ripassa nelle mani di Ciancimino diremo noi).

Le ulteriori azioni degli amministratori di Agenda 21 hanno portato alla messa in liquidazione della società. Il rapporto della Guardia di Finanza ricostruisce, quindi, in modo dettagliato tutti gli intrecci societari tra gli amici di Ciancimino e l’attività del tributarista Lapis: prima ancora, infatti, era stato fatto un aumento di capitale di Agenda 21 poi non sottoscritto da Sirco (che pure era socio finanziatore e ha erogato ad Agenda 21 oltre 15,6 milioni) per 3.500 euro consentendo ad Agenzia Obiettivo Lavoro dei fratelli Pileri di diventarne, di fatto, i soci con la partecipazione maggiore. Il progetto di svuotare Sirco della partecipazione in Agenda 21 era stato messo in atto subito dopo il sequestro di Sirco da parte dell’autorità giudiziaria nel 2005. Che i Lapis potessero avere interesse in Agenda 21 sarebbe dimostrato – secondo la Guardia di Finanza che riporta una memoria dell’amministratore giudiziario – dal via libera dato dalla figlia di Lapis, Mariangela, socia di Sirco a utilizzare 1,8 milioni da un suo conto personale per completare l’importo di 2,9 milioni in favore di Agenda 21. Il tutto a completamento dei circa 20 milioni anticipati. Del resto, i progetti per Agenda 21 erano di rilievo: oltre alla discarica di Gline, a Bucarest, aveva partecipazioni in Ecologica Sa (gestione discarica di Baicoi), Salub Sa (raccolta rifiuti a Ploiesti), Ageim Srl (gestione immobili), Ecologica Mures (gestione discarica a Targu Mures).

 

ll Gip Morosini

Il Gip Morosini ha quindi contestato la certezza della Procura di non avere potuto acquisire “elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio”. Infatti lo stesso Gip chiede alla Procura di non ignorare “una nota della Procura di Caltanissetta riguardante le indagini sulla strage di via D’Amelio”, né “l’esito di una perquisizione effettuata a Milano, in viale Umbria 54, negli uffici di Santa Sidoti”, definita “collaboratrice di Massimo Ciancimino, (…) moglie di Romano Tronci Romano, già coinvolto in altre inchieste per riciclaggio dove figura lo stesso Ciancimino e di cui è stato consulente delle società sequestrate…”.

Ma cosa ci sarebbe scritto in questa nota della Procura di Caltanissetta? La messinese Santa Sidoti, moglie del faccendiere Romano Tronci, scrive: “L’argomento è sempre la strage Falcone-Borsellino (foto a sinistra tratta da flickr.com) legata alla più grossa azienda ecologica in Romania”. Questa la frase, sibillina e di difficile interpretazione, che avrebbe fatto sussultare gli investigatori e, in particolare, gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta che hanno eseguito il sequestro di atti al civico n. 54 di viale Umbria a Milano dove si trovano gli uffici della messinese Santa Sidoti, collaboratrice di Massimo Ciancimino e moglie del faccendiere Romano Tronci.

Anche tale materiale probatorio è quindi diventato un passaggio del provvedimento di rigetto dell’archiviazione del Gip Morosini depositato il 15 aprile. La frase riportata (sicuramente inquietante) è un passaggio di una lettera, scritta probabilmente nel 2007 sul computer di Santa Sidoti sequestrato, e indirizzata al dottor Ribolla e al profesore Ferro, due amministratori giudiziari che, a quel tempo, si occupavano del patrimonio sequestrato ai Ciancimino e ai loro prestanome (in particolare, il tributarista Gianni Lapis cui la missiva è inviata per conoscenza e l’avvocato Giorgio Ghiron poi condannati insieme alla mamma di Ciancimino e allo stesso Massimo per riciclaggio e intestazione fittizia) e in particolare della Sirco e del Gruppo Gas. Nella lettera, la Sidoti affronta le vicende della società Agenda 21 che controlla discariche e centri di raccolta in Romania, i rapporti di quest’ultima con la Sirco (sequestrata nell’ambito del precedente procedimento penale), con la società Alzalea e con la società Ecorec. Quello stesso compendio societario che la Sezione misure di prevenzione patrimoniale del Tribunale di Palermo guidata da Silvana Saguto ha quindi sequestrato sulla base di quel corposo rapporto redatto dalla Guardia di Finanza non adeguatamente apprezzato dalla Procura di Palermo.

Infatti, nello stesso Palazzo di Giustizia, mentre i magistrati della Sezione misure di prevenzione lavoravano per arrivare al sequestro delle società (eseguito nella parte italiana ma in attesa di diventare efficace in Romania dove Agenda 21 controlla la più grande discarica di rifiuti di tutta Europa), i magistrati della Procura antimafia dello stesso palazzo – Buzzolani e Sava – preparavano le carte per chiedere l’archiviazione dell’accusa di riciclaggio per Massimo Ciancimino e per l’avvocato Ghiron. La richiesta di archiviazione presentata il 15 aprile dell’anno scorso ( 2011) si basa sulle seguenti considerazioni: “Le indagini oggetto del presente procedimento penale relative ad ulteriori ipotesi di riciclaggio di beni e somme di denaro di provenienza illecita commesse dagli indagati anche all’estero – si legge nella richiesta di archiviazione – non hanno consentito di acquisire elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio con riferimento alle ipotesi di reato contestate”.

A ben leggere il provvedimento di prevenzione del giudice Saguto che dispone il sequestro delle imprese che controllano gli affari rumeni, il Gip Morosini scopre elementi per continuare a indagare. Infatti scrive: “Emergono spunti significativi in ordine a possibili operazioni di riciclaggio di denaro di illecita provenienza da parte di Massimo Ciancimino, peraltro ancora in atto. Tali operazioni potrebbero scaturire proprio dall’investimento di somme derivanti dal patrimonio accumulato da Vito Ciancimino, denaro ereditato dal figlio Massimo e gestito per suo conto da professionisti”.

Il magistrato indica con chiarezza la via (anzi le vie) su cui è necessario proseguire per approfondire le vicende: “Il tema di indagine che si configura attiene principalmente ma non solo ai collegamenti diretti e indiretti fra Massimo Ciancimino e Raffaele Valente, tra Gianni Lapis e Valente, tra Ciancimino e i fratelli Pileri (Sergio e Giuseppe), tra Ciancimino e Pietro Campodonico, tra Ciancimino e alcuni soci rumeni, nonché alle attività e alle connessioni dinamiche tra le società Agenda 21, Ecorec e Alzalea, soprattutto in riferimento agli interessi economico-finanziari in Romania nei settori dello smaltimento dei rifiuti e dell’acquisto di materiali quali l’alluminio”.

Tutti i personaggi citati dal Gip (cui si aggiunge il rumeno Viktor Dombroskj, direttore generale e azionista di Ecorec che controlla direttamente la discarica) compaiono nel rapporto che la Guardia di Finanza ha redatto nel 2009, sottolineando quanto l’affare della discarica sia grosso e importante. L’ipotesi di riciclaggio a carico di Massimo Ciancimino è relativa alla circostanza che avrebbe riciclato in Romania (foto della cartina a sinistra tratta da europa.eu) almeno 300 milioni e che per farlo si sarebbe avvalso della collaborazione del proprio fratello Roberto e dei fratelli Pileri, Sergio e Giuseppe, “soggetti in grado di gestire alcune società in un complesso gioco di scatole cinesi per aggirare provvedimenti ablativi e cautelari in danno dello Stato”, si legge sempre nel provvedimento del Gip. E ancora il Gip scrive e sottolinea come l’informativa della Guardia di Finanza “non è stata prodotta nel presente procedimento dalla Procura della Repubblica (ancorché menzionata in una nota dei pubblici ministeri Lia Sava e Dario Scaletta e datata 13 giugno 2011, depositata in data 31 gennaio 2012 presso la cancelleria di questo giudice per le indagini preliminari)”.

 

Andare avanti

Questo rende nuovamente attuali le denunce presentate alla Procura di Caltanissetta prima e a quella di Catania poi dall’avvcato Giovanna Livreri, ex legale della Gas spa, che denunciò (ricevendone in contropartita solo gravi danni d’immagine e giudiziari, anche attuali, visto che sconta un processo in corso), per accertamenti su evidenti “deficienze e sperequazioni investigative” sulla vicenda del ‘tesoro’ Ciancimino nella Gas spa

 

Massimo & compagni conoscevano informative riservate?

Altra questione misteriosa emersa nel provvedimento del Gip Morosini è quella che riguarda “la perfetta conoscenza da parte dei protagonisti di questa vicenda di fatti e circostanze coperte dal segreto istruttorio”. Così scrive il Gip: “Nelle conversazioni intercettate i vari interlocutori fanno riferimento a vicende istituzionali non solo italiane che dovrebbero essere coperte dallo stretto riserbo, dimostrando di conoscere anche nei dettagli, ad esempio, le dinamiche interne alla magistratura siciliana e l’andamento di inchieste che dovrebbero essere coperte da segreto, nonché gli equilibri e i rapporti in ambienti politici o apparati di sicurezza addetti, tra l’altro, al controllo di legalità di importanti operazioni economico-finanziarie”. E questo sembra un ulteriore filone di indagine in una storia che è ancora tutto da raccontare.

 

120 giorni per fare chiarezza

Ora forse si comprende meglio perché il provvedimento del 15 aprile 2012 del Gip Piergiorgio Morosini, che respinge la richiesta di archiviazione del precedente 15 aprile 2011, è destinata a sviluppi imprevedibili. Infatti il Gip, a partire dal 16 aprile scorso, giorno del deposito del provvedimento in cancelleria, ha dato quattro mesi – 120 giorni – di tempo alla Procura rappresentata dai Procuratori Ingroia e Di Matteo, per “ricominciare ad indagare e formulare nuove ipotesi di reato partendo dall’accredito di quasi 20 milioni di euro, effettuato il 13 gennaio 2004, sul conto corrente svizzero ‘Mignon’, da parte del professore Gianni Lapis in favore dell’avvocato Giorgio Ghiron e dello stesso Ciancimino, in concomitanza con la vendita del Gruppo Gas alla società spagnola Gas Natural”.

Lo sfondo quindi è sempre quello del ‘tesoro’ accumulato da ‘Don Vito’ Ciancimino nella Gas spa di Lapis ed Ezio Brancato. La novità è che questa volta, che sembra quella decisiva, la Procura, su input del Gip, oltre a guardare ai soliti noti guardi a tutta la compagine della Gas gasdotti, senza sconti per nessuno. Guardando non soltanto ai Paesi dell’Est, ma anche ad ovest, magari verso la Spagna, dove potrebbe trovare altre sorprese.

Foto di prima pagina tratta da altrabenevento.org


 

Virginia Di Leo

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