Partito con l’intenzione di portare un sorriso ai bambini ucraini come aveva già fatto
tante volte nel mondo, il modicano Andrea Caschetto, 32 anni, si è subito scontrato con la
realtà di una guerra appena esplosa, trovandosi a trasportare beni di necessità e a
portare in salvo cinque donne. «Ho percorso quasi quattro mila chilometri in dieci
giorni», racconta a Meridionews.
Come arma aveva con sé qualcosa di particolare: il naso rosso. Ad annunciarlo prima della partenza era stato lo stesso volontario in un post su Facebook, pensando di fare ancora una volta
ciò che da volontario fa da anni in tutto il mondo: giocare e ridere con i bambini. Stavolta, però, le cose sono andate diversamente: «Non c’è stato né tempo né modo», spiega il 32enne, trovatosi per la
prima volta all’alba di un conflitto bellico.
«Sono riuscito a giocare con alcuni
bambini solo alla frontiera ma effettivamente in questa occasione ho dato un aiuto
diverso – racconta -. Principalmente ho fatto da autista, guidando prima da Milano fino ai confini
con la Romania per entrare in Ucraina dove ho controllato che gli aiuti
trasportati venissero consegnati direttamente alle persone in difficoltà. Poi sempre al volante ho guidato fino
in Austria, dove ho accompagnato cinque donne in fuga». Due madri con le loro tre
figlie. «Ho guidato la loro macchina, la loro unica priorità era allontanarsi dal conflitto», continua Caschetto.
Partire per aiutare il popolo ucraino, però, non è stato semplice. Non riuscendo a
trovare un aggancio, Caschetto ha dovuto scrivere un appello su Facebook, tramite il
quale è stato contattato dalla onlus Milano Sospesa, che gli ha dato per prima la
possibilità concreta di fare la sua parte. «Mi hanno chiamato chiedendomi di mettermi in viaggio con loro per
l’Ucraina la mattina dopo, a bordo di alcuni camion in partenza da Milano. Mi trovavo in
Sicilia, perciò ho preso il primo volo possibile e sono partito». A colpire il 32enne è stata l’urgenza della situazione. «Rispetto ad altre volte ho riscontrato un contesto dove tutto è esploso
all’improvviso – racconta -. Finora mi ero trovato in zone in cui sparatorie e
rappresaglie sono all’ordine del giorno da anni e, perciò, si sono per così dire
normalizzate. Qui, invece, ho constatato nelle persone il dolore tangibile di avere
dovuto lasciare all’improvviso amici e familiari: quelle macchine in fila per la fuga
erano tutte di persone tristi».
Impossibile non toccare con mano anche la globalità degli aiuti. «Fortunatamente tutti
vogliono aiutare il popolo ucraino. Io stesso, essendo stato li a novembre ed avendo
amici li, mi sento più coinvolto. Ma al contempo – va avanti – credo che questa
reazione solidale dovrebbe nascere per ogni popolo afflitto dalla guerra, senza distinzioni. Dovremmo smuovere le coscienze anche politiche, sia a livello nazionale che internazionale, per fare capire
con parole di amore che siamo stanchi di qualunque conflitto e desiderosi di pace»,
conclude.
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