« È un grandissimo onore ricevere un premio che porta il nome di una persona per me tanto cara. Io ho conosciuto personalmente Maria Grazia due mesi prima del suo attentato e mi è molto dispiaciuto per ciò che le è successo». Chiaramente emozionata, ha aperto con queste parole ieri la sua lectio magistralis Angela Rodicio, giornalista dellemittente spagnola Tve e vincitrice della settima edizione del Premio Internazionale di Giornalismo Maria Grazia Cutuli per la sezione stampa estera. La giornalista catanese inviata del Corriere della Sera e uccisa con altri tre colleghi in Afghanistan il 19 novembre del 2001 non è mai stata dimenticata e lamministrazione comunale ha deciso di intitolarle da oggi uno spazio della città, un largo tra via Asiago e via Messina. La lectio di Angela Rodicio è stata accompagnata da quella dei vincitori della sezione stampa italiana, nonché i quattro giornalisti rapiti in Libia lo scorso agosto: Claudio Monici di Avvenire, Domenico Quirico de La Stampa ed Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera. A moderare lincontro che si è svolto nellauditorium dellex monastero dei Benedettini, Antonio Ferrari, editorialista del Corriere.
Inviata di guerra, Angela Rodicio ha raccontato la sua esperienza ormai più che ventennale, nelle zone di conflitto che hanno interessato diversi Paesi. Dalla guerra tra Iran e Iraq, nel 1988 esperienza che ha rappresentato il suo battesimo professionale, come lei stessa lo ha definito alla Bosnia, senza tralasciare i conflitti in Grecia e in Libia. Solo per fare qualche esempio. Umiltà, studio dei Paesi in cui si va a lavorare e un pizzico di fortuna sono, secondo la giornalista spagnola, le qualità necessarie per un periodista. La sua è unesperienza televisiva ed è convinta che la tv sia un mezzo con una doppia faccia: «Se è vero che possono tagliarti e limitare il tuo discorso, non potranno mai farti dire cose che non hai detto» dichiara. In merito al ruolo dellinformazione, Rodicio ha le idee molto chiare: «Informazione significa servizio pubblico. È come lacqua, necessaria e un diritto di ogni cittadino».
Significativa la scelta dei quattro vincitori italiani di destinare lintero premio alla famiglia del loro autista, ucciso davanti ai loro occhi, dopo essere stati rapiti dai lealisti del colonnello Muammar Gheddafi. A raccontare lesperienza vissuta è Elisabetta Rosaspina: «Non avrei mai immaginato di tornare a casa sana e salva dopo che hanno ucciso Al-Madi. È stata lesperienza più frustrante della mia vita». Un lato positivo, però, l’inviata del Corriere lo ha trovato. «In fondo ammette siamo stati gli unici ad avere visto la guerra dal lato opposto rispetto a tutti gli altri, dalla parte dei vinti».
Un commento che porta a una riflessione più generale sul mestiere e la scomparsa del giornalista reporter. Linviato come figura professionale che non esiste più secondo tutti e quattro i giornalisti. La colpa è «nella deriva del giornalismo italiano che si trincera dietro difficoltà economiche e blocca i giovani che vorrebbero fare questo mestiere» afferma Claudio Monici. Che tiene a precisare come la professione si fondi sempre più sul lavoro dei freelance che però vengono pagati pochissimo. Ultimo, ma non meno grave, peccato dell’informazione italiana è la pigrizia: «Ormai si va solo nei posti dove succede qualcosa conclude Monici e invece cè un mondo intero da raccontare. È bello e va indagato».
Dopo le parole è arrivato il momento della consegna dei premi per il lavoro svolto. «Li scegliamo bene i vincitori, di qualità» scherza Antonio Ferrari. Tra di loro, questanno, anche il fotogiornalista freelance e catanese Fabrizio Villa, cui va il premio per il miglior giornalista siciliano emergente. A Emma Lupano, Andrea de Georgio e Clelia Passafiume sono invece assegnati rispettivamente i premi per la miglior tesi di dottorato, di laurea specialistica e triennale. Lappuntamento è per questa sera alle 18.00 al teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania.
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