CROCE ROSSA ITALIANA E’ STATA PRIVATIZZATA E AMBISCE AL BUSINESS DELL’IMMIGRAZIONE. LAMPEDUSA ACCOGLENZA INTANTO RESTA NEL CSPA DELL’ISOLA
di Mauro Seminara
Nell’immaginario collettivo il centro di prima accoglienza di Lampedusa è stato epurato dalla cattiveria degli operatori di Nuova Lampedusa Accoglienza, rei di aver effettuato, in piena emergenza, delle docce antiscabbia con modalità appunto emergenziali. Il Ministro degli Interni aveva tuonato contro la consortile titolare dell’appalto per la gestione del centro e ne aveva promesso l’immediata rimozione, anticipando un possibile coinvolgimento della prestigiosa Croce Rossa italiana quale inopinabile sostituto dell’ente gestore criminale. Tutto accadeva dopo il “video-choc” – cosi ormai conosciuto – sulle docce antiscabbia mostrate dal servizio esclusivo del Tg2 il 16 dicembre 2013. Seguendo l’atteggiamento serio e risoluto che l’opinione pubblica indignata esigeva, Angelino Alfano ha preteso la risoluzione del contratto di Nuova Lampedusa Accoglienza. Purtroppo, va detto che chiunque abbia messo piede in quel centro di accoglienza nei giorni di emergenza avrà potuto vedere ben di peggio, e chi conosce il quadro generale delle competenze nella gestione di quella struttura sa, se lo vuole ammettere con un minimo di onestà intellettuale, che ben poco era attribuibile all’ente gestore condannato alla pubblica gogna. Malgrado la disarmante realtà dei fatti, dando seguito alle volontà ministeriali, il neoeletto Prefetto di Agrigento Nicola Diomede (nominato due giorni dopo lo scandalo mediatico del trattamento antiscabbia e dopo circa un mese di sede vacante) ha dato il via alla rescissione.
Negli ultimi giorni dell’anno la Prefettura di Agrigento aveva inviato una raccomandata alla Nuova Lampedusa Accoglienza contenente il preavviso di rottura contrattuale. La missiva venne ricevuta dalla consortile, presso il Cspa di Contrada Imbriacola in Lampedusa, il 3 gennaio 2014. Trenta giorni concessi per consegnare la struttura e abbandonarla. Il 2 febbraio i cinquanta dipendenti della consortile dovevano andare a casa. All’ente gestore veniva contestata – mentendo con la consapevolezza di farlo – la mancata comunicazione all’appaltante Prefettura circa le carenze strutturali del Cspa. In una conferenza stampa indetta pochi giorni dopo lo scandalo dai vertici di Nuova Lampedusa Accoglienza e Legacoop Sicilia, a Palermo, venivano mostrate tutte le comunicazioni e sollecitazioni fatte dall’ente gestore alla Prefettura su criticità e carenze a cui dover far fronte. Tra le carte mostrate, anche le richieste del suddetto ente gestore di porvi rimedio a proprie spese previo imprescindibile autorizzazione a procedere del committente. Incartamento pleonastico visto che le condizioni strutturali e i limiti di capienza del centro erano sotto gli occhi di tutti. A seguito del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, nel centro di accoglienza sono entrati Premier e Vicepremier, cioè Ministro degli Interni, Viceprefetti e Commissari europei. Tutti hanno avuto modo di vedere un centro di accoglienza che cadeva a pezzi e inspiegabilmente sovraffollato fino a circa quattro volte la sua capienza. Questo lo sanno bene ad Agrigento, dove al momento è in atto un tavolo di contrattazione con l’epurato appaltatore. Una sorta di tentativo di separazione consensuale. Come se chi chiede il divorzio sa che l’altro ha in mano le prove di un adulterio o di un abbandono del tetto coniugale e cerca quindi la strada più pacifica. D’altro canto, l’appaltatore sa con chi ha a che fare e teme una eventuale rappresaglia che lo potrebbe colpire su altri appalti, su altri centri gestiti per conto del Ministero, e quindi di buon grado affronta la risoluzione consensuale. Quindi, quanti si aspettavano di vedere i dipendenti di Nuova Lampedusa Accoglienza andar via dal centro di accoglienza con la valigia in mano sarà rimasto deluso. Sempre che lo sappia. L’idea che siano andati via viene comunque alimentata da chi al Governo, o più in generale nelle istituzioni, si trova per caso ancora oggi a parlare di Lampedusa.
Per meglio comprendere la frittata che adesso qualcuno nella città dei Templi è chiamato a risolvere, forse sarebbe il caso di rivedere la cronologia di alcuni eventi. A dicembre del 2013 scoppia lo scandalo e Alfano propone subito la CRI come rimpiazzo. Una sostituzione in deroga alla regolare assegnazione con gara d’appalto. Anomalia che inevitabilmente porta a considerare gli eventi che hanno caratterizzato la Croce Rossa negli ultimi due anni. Un evento esemplificativo è che dal primo gennaio 2014 Croce Rosa è “privatizzata”. Lo stabilisce il Decreto Legge 178/2012 con le disposizioni generali di “Trasferimento di funzioni alla costituenda Associazione della Croce Rossa italiana” poste all’articolo 1. Così, adesso “l’Associazione Croce Rossa italiana è persona giuridica di diritto privato” ma di interesse pubblico e quindi mantiene i privilegi delle spoglie da cui sorge. Poi, al punto “E” del comma 4 dello stesso articolo, il Decreto Legge precisa uno dei campi su cui la neonata associazione privata di diritto pubblico dovrà e potrà operare: “svolgere attività umanitarie presso i centri per l’identificazione e l’espulsione di immigrati stranieri, nonché gestire i predetti centri e quelli per l’accoglienza degli immigrati ed in particolare dei richiedenti asilo.”
Potrebbe quindi non apparire un caso che nel gennaio 2013 – il Decreto Legislativo è del 28 settembre 2012 – la signora Maria Teresa Letta, sorella di Gianni e zia di Enrico, viene “eletta” vicepresidente nazionale della Croce Rossa italiana. Si precisa che al tempo della promozione a vicepresidente CRI di Maria Teresa Letta, come al tempo della messa in cantiere e della successiva approvazione del DL, Enrico Letta non era Presidente del Consiglio. Lo era però quando l’amico, vicepremier e socio nella fondazione Vedrò, Angelino Alfano proponeva la CRI alla gestione del Cspa di Lampedusa. Oltre al conflitto di interesse si profila anche qualche dubbio, lecito, sul rischio possibile di futura scarsa trasparenza gestionale. La Procura di Roma ha infatti ancora nei suoi archivi una inchiesta per presunti illeciti commessi da Maria Teresa Letta al tempo in cui era Presidente del Comitato Regionale Abruzzo, nel 2008. Secondo le accuse ricopriva due cariche in conflitto fra esse e deteneva accesso diretto e illecito di due conti correnti della CRI, su cui giravano poco meno di settecentomila euro, dei quali poneva e disponeva a propria discrezione. A fomentare dubbi si unisce il fratello Gianni, potente eminenza grigia della corte di Silvio Berlusconi, che nel 2008 fu indagato per abuso d’ufficio, turbativa d’asta e truffa aggravata. Tra gli interessi per cui avrebbe commesso i reati contestati ci sarebbe stato anche un appalto per la ristorazione in un centro di accoglienza per richiedenti asilo. L’inchiesta venne poi archiviata dai Pm della Procura di Lagonegro dopo che un conflitto di competenza tra la Procura di Roma e quella di Potenza aveva parcheggiato il faldone nella Procura di provincia della Basilicata.
Che dei migranti alla classe dirigente non interessa nulla si era capito già da un pezzo. Che dietro il business dell’immigrazione clandestina girano tanti soldi forse è meno chiaro. Se qualcuno dovesse tentare – pare ci stia riuscendo – di fare della CRI una società per azioni, come Silvio Berlusconi tentò di fare con la Protezione Civile Nazionale (progetto naufragato per lo scandalo che coinvolse l’allora direttore Guido Bertolaso sulle speculazioni del dopo terremoto in Abruzzo), non ci si dovrebbe certo stupire. La parte “di diritto pubblico” della Croce Rossa potrà entrare a pieno e prestigioso titolo nella gestione dei centri per immigrati e non solo, e la componente “di diritto privato” avrà piena facoltà di speculare su un affare miliardario divenendo CRI una associazione che insegue utili aziendali. Parallelamente alla privatizzazione della Croce Rossa, e oltre alla teatrale messinscena di Lampedusa, stiamo assistendo a un sensibile fermento sul fronte dei Centri di Identificazione ed Espulsione e al lancio su larga scala degli Sprar, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. Dopo anni di proteste di varie associazioni che si occupano di diritti umani, sembra che adesso tutti abbiano scoperto che i Cie sono dei lager. Come a Torino, dove il consiglio comunale con il Sindaco Piero Fassino in testa hanno firmato un documento che incarica l’amministrazione di richiedere la chiusura del centro. Richiesta ovviamente irricevibile dal Ministero degli Interni, al quale verrà inoltrata dalla Prefettura di Torino, e che potrebbe concludersi con una non casuale ulteriore rescissione contrattuale con l’ente gestore. Parallelamente crescono in maniera esponenziale gli Sprar. Nel solo 2013 questi centri-alloggio per richiedenti asilo, controllati dai comuni che ne assegnano gli appalti, sono passati da 9.500 posti ai 20.000 previsti con l’ultimo bando. Forse non è un caso neanche quel “ed in particolare per i richiedenti asilo” che qualcuno ha avuto cura di inserire nel Decreto Legge 178/2012 con cui “La Associazione subentra alla CRI […] assumendone i relativi obblighi e privilegi“
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