Si cercano soluzioni per la situazione ormai critica di Bellolampo, iniziata con la necessità di conferire i rifiuti in altre discariche siciliane e aggravata dal fatto che già in due casi queste hanno rispedito al mittente i tir provenienti da Palermo perché ritenevano il contenuto non conforme agli standard richiesti. Tutto questo con un aggravio di costi, già alti, per il conferimento e della situazione di emergenza che ha portato a riunioni fiume, durate anche fino a tarda notte, tra Regione, Arpa, gestori degli impianti del catanese, Srr e Comune.
La saturazione della sesta vasca, i ritardi per la realizzazione della settima e il superamento dei limiti autorizzati dalla Regione per l’impianto di compostaggio hanno creato un’emergenza che è ancora tutta da superare. In questo momento a Bellolampo ci sono circa 30mila tonnellate di rifiuti che si trovano sui piazzali davanti all’impianto che, da settimane, non riescono a essere smaltiti. Ma a regime ordinario, ovvero quando l’emergenza sarà cessata, cosa ci assicura che dopo qualche tempo la situazione non torni critica? Ben poco secondo l’avvocato Paola Ficco, giurista ambientale, docente universitaria e giornalista, che da 32 anni si occupa del settore rifiuti. «Non sono solo i Tmb che possono risolvere la situazione – dice – c’è bisogno di azioni combinate che comprendano dalla differenziata al Tmb e che includano necessariamente anche i termovalorizzatori. Non bisogna stracciarsi le vesti per partito preso, da 30 anni diciamo no alla termovalorizzazione, da Roma all’Abruzzo e questi sono i risultati. Ovunque andiamo pensiamo sempre che il problema siano i rifiuti urbani che in tutto sono 25 milioni di tonnellate mentre se si guarda a quelli industriali saliamo a 135 milioni di tonnellate. Per questi ultimi ci sono le discariche dedicate, vengono riciclati attraverso il loro circuito mentre noi abbiamo ancora il problema dei rifiuti urbani. Ci sarà qualcosa che non va o no?».
Per la giurista ambientale i problemi spesso iniziano con il pubblico e finiscono con il privato: «Con gli affidamenti diretti non sappiamo più chi fa cosa, sfido chiunque a capire esattamente fino a dove arriva il privato e comincia il pubblico. Quando si tratta di risorse che hanno un valore, e i rifiuti lo sono, si scatena la guerra per decidere chi lo deve raccogliere, trasportare e conferire, e nulla è più chiaro. In ragione di questa confusione il sistema impazzisce: tutti hanno ragione e tutti hanno torto». Nel caso di Bellolampo in particolare i sindaci dell’hinterland come quello di Carini, Giovì Monteleone, potrebbero dovere confrontarsi con un aumento dei costi per il conferimento dell’organico attraverso privati già a partire da questa settimana. Monteleone si chiede se prima di incrementare la raccolta differenziata nella regione non sarebbe stato più opportuno dotarsi prima di impianti pubblici per lo smaltimento per calmierare i prezzi. Dopo la manifestazione di interesse presentata dalla Srr di Palermo poi si è presentata una sola azienda che intende prendersi carico dello smaltimento dell’umido per circa venti Comuni della provincia, ma anche questo impianto risulterebbe già pieno.
«La differenziata ha un senso solo se le cose vengono poi riciclate – continua Ficco – ed è solo l’inizio di un percorso. I comuni sono raccoglioni e non ricicloni se è vero che questi rifiuti che vengono raccolti spesso finiscono all’estero non si capisce perché dobbiamo alimentare gli impianti di altri Paesi e non i nostri. O siamo capaci di gestire la risorsa rifiuto oppure smettiamo di parlare di economia circolare». A supporto della raccolta differenziata, quindi, secondo l’esperta bisogna creare una struttura impiantistica capace di auto-sostenersi. Bisogna imparare a convivere con una nuova capacità industriale e trasferirla sulla gestione consapevole dei rifiuti, evitando magari che le case vengano costruite a ridosso degli impianti. È un problema di civiltà, le leggi sono fin troppe, anzi la loro quantità è talmente elevata che non consente di gestire il problema».
In questo contesto poi secondo l’esperta va detto che «il Tmb non è un buco nero – aggiunge l’avvocato – ma un impianto. Per una città come palermo un Tmb probabilmente non basta, è una questione di numeri. Probabilmente chi di dovere avrebbe dovuto, quando si è deciso di spingere la raccolta differenziata, implementare il Tmb. La raccolta differenziata ha i suoi limiti e noi cittadini siamo in primo luogo i nostri Tmb, dobbiamo separare il secco dall’umido. O puntiamo anche sull’industria di riciclaggio da un lato e temovalorizzatori e inceneritori dall’altro, come fanno gli altri paesi o non si risolveranno i problemi. Finora sono state adottate ricette evidentemente sbagliate alla prova dei fatti».
La giurista ambientale riferisce anche come l’Italia sia l’unico Paese d’Europa «che ha un problema di smaltimento dei rifiuti urbani, forse ad eccezione della Grecia. Ci sono ad esempio gli inceneritori di Copenaghen, che sono dentro le città. Quando andiamo lì li ammiriamo ma a casa nostra non siamo capaci di gestire una tecnologia complessa. Tra le altre cose la legislazione italiana fa riferimento a una definizione di rifiuto olistica, che risale al 1975, basata ancora su un’economia di tipo lineare e non circolare. Più in concreto chi vuole togliere un pezzo di rifiuto di plastica non può farlo se non è autorizzata ma non ci sono le norme per individuare le caratteristiche tecniche per riciclare i materiali. Vogliamo gestire la raccolta come se fossimo arrivati in un nuovo futuro ma non abbiamo le risorse che ce lo consentono. È necessario un nuovo paradigma. in cui ognuno si prende il suo ruolo. Dobbiamo valorizzare i materiali nobili e quello che non può essere riciclato va bruciato e trasformato in energia come fanno tedeschi e svedesi». Un esempio di gestione virtuosa dei rifiuti urbani per la giurista ambientale è Londra: «Una metropoli con svariati milioni di abitanti che gestisce i rifiuti urbani con un brevetto di un’azienda italiana. Dopo la raccolta dei rifiuti differenziata, togliendo vetro e metalli, secca tutta l’immondizia in impianti dedicati e da questa balla (Cdr, combustibile derivato dai rifiuti) poi termovalorizzata viene prodotta energia. Da noi non siamo quasi mai riusciti a farlo».
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