Vanno a processo in otto per l’inchiesta della guardia di finanza sul presunto crac di Aligrup spa, in passato colosso della grande distribuzione. Il giudice per l’udienza preliminare Giovanni Cariolo ha rinviato a giudizio per bancarotta due amministratori giudiziari dell’azienda, il professore ordinario di Diritto tributario Salvatore Muscarà e il commercialista Angelo Giordano, e gli amministratori – in fatto o in diritto – di alcune società collegate: sono l’ex re dei supermercati Sebastiano Scuto, la moglie Rita Spina, loro figlio Salvatore Michele Scuto, il cognato Domenico Spina e gli imprenditori Carmelo Frasca e Filippo Tomarchio. Dalle indagini sarebbero emerse operazioni commerciali anomale tra Aligrup e alcune aziende riconducibili alla famiglia Scuto (nel dettaglio Fruttexport srl, K&K srl, Global Service srl, Deteritalia srl e Cedal srl), attreverso le quali sarebbero state dissipate le risorse finanziarie delgruppo. Lo riporta l’Ansa. La prima udienza è fissata per l’8 maggio 2019 davanti alla prima sezione penale del tribunale di piazza Verga.
Il processo è agganciato al sequestro, operato il 12 gennaio 2017, di 19 milioni di euro che facevano parte di rapporti bancari nella disponibilità di amministratori, sia giudiziari che di fatto e di diritto, di società coinvolte nella «distrazione, dissipazione e occultamento – scrivevano le fiamme gialle – delle risorse finanziarie di Aligrup s.p.a., società attiva nel settore della grande distribuzione alimentare». In altre parole, secondo i pm Alessandra Tasciotti e Fabio Regolo, gli amministratori giudiziari nominati dallo Stato avrebbero gestito i beni facendo gli interessi di Scuto, coinvolto in un processo per mafia. L’azienda si trova infatti in amministrazione giudiziaria dal 2001, quando l’azienda viene sequestrata e finisce in amministrazione giudiziaria a causa dei problemi con la legge del suo proprietario, finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa. Secondo l’accusa, Scuto sarebbe stato il beneficiario dei soldi del clan mafioso di Cosa nostra dei Laudani che, a detta degli inquirenti, avrebbe foraggiato l’imprenditore in maniera continuativa negli anni, almeno dal 1987.
Nell’ottobre 2016 i giudici della seconda sezione della corte di Cassazione hanno annullato con rinvio la sentenza di condanna a otto anni della corte d’Appello di Catania.
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