A Palermo Cosa nostra continua a essere confusa. La stroncatura sul nascere della nuova commissione provinciale altro non ha fatto che sconvolgere gli equilibri. Equilibri che poco a poco avevano riportato l’assetto dell’organizzazione al ritorno ai vecchi schemi, con il graduale risanarsi della «frattura – sino a poco tempo addietro ritenuta incolmabile – fra corleonesi e perdenti», come scrive nella sua relazione annuale il presidente della corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca. «In mancanza di un organismo idoneo a regolare i più delicati rapporti intermandamentali – scrive Frasca – le eventuali questioni vengono risolte mediante colloqui bilaterali fra i mandamenti interessati. Non sembra, inoltre, che venga applicata la regola, che la nuova commissione voleva ripristinare rigorosamente, secondo la quale tali questioni possono essere oggetto esclusivamente dei contatti fra capi mandamento; in buona sostanza, permane la “confusione” alla quale la suindicata commissione voleva porre fine».
«Le costanti e pressanti attività cautelari e processuali hanno generato, probabilmente, la più grave crisi mai attraversata nella sua storia dalla cosa nostra palermitana con riferimento alla mafia territoriale/militare», spiega ancora il magistrato, tanto da chiudere tacitamente gli occhi di fronte al proliferare della mafia nigeriana, che in quartieri come l’Albergheria si è installata come punto di riferimento per il traffico di stupefacenti e che controlla una buona fetta del mercato della prostituzione, ma di certo non dal punto di vista del business che tiene in vita clan e mandamenti. «L’associazione mafiosa cosa nostra continua a esercitare il suo diffuso, penetrante e violento controllo sulle attività economiche, imprenditoriali e sociali del territorio; se negli anni precedenti il dato statistico aveva mostrato qualche cenno di diminuzione va sottolineato che nell’anno in corso le denunce sono state ben 69 a fronte delle 86 e 64 dei due anni immediatamente precedenti. A livello distrettuale quindi si registra un decremento di quasi il 20 per cento».
Ma il 2020 è stato soprattutto l’anno del coronavirus e della crisi scaturita dalla pandemia. Una crisi da cui Cosa nostra ha cercato di trarre beneficio, come scoperto nelle pieghe dell’ultima operazione dei carabinieri, Bivio, ma che ha colpito in qualche modo anche l’organizzazione mafiosa, soprattutto in quella che è stata assodata come la sua terza fonte di reddito, le slot machines. «In relazione alle attività economiche non emergono sostanziali novità rispetto alla precedente relazione; occorre, però, specificare che anche le attività economiche di cosa nostra hanno subito, come tutte le altre lecite e illecite, un brusco arresto [ma solo un rallentamento nel campo del traffico di stupefacenti] nel periodo marzo/giugno, caratterizzato dall’emergenza epidemiologica da Coivid-19, riprendendo, subito dopo, a pieno ritmo; nello stesso quadrimestre, inoltre, si è registrata un’intensificazione delle attività “sociali” e “assistenziali” da parte dell’associazione criminale».
Ma mentre da una parte i sodali degli uomini d’onore regalano cibo nei quartieri più disagiati, dall’altra si aggrediscono le aziende. «È troppo presto per verificare, da un punto di vista quantitativo, la manovra avvolgente da parte di cosa nostra – ampiamente presumibile -, sfruttando la crisi di molte imprese insorta nello stesso periodo, per impadronirsi con metodi apparentemente legali delle stesse». Ma non è tutto, un notevole introito per le casse delle organizzazioni criminale arriva da quello che forse è il dato più preoccupante dell’intera relazione, specie in un periodo di estrema fragilità come quello che la società sta attraversando, quello relativo all’usura. «I reati di usura sono notevolmente in crescita» scrive Frasca, un aumento del 57,55 per cento, sono state 167 le denunce nel corso del 2020 a fronte delle 106 dell’anno precedente, in cui si era registrando un calo del 28 per cento rispetto al 2018.
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