«Io sono mio padre in persona, ho il comando assoluto del paese. Non c’è nessuno che mi può dire cosa devo fare». La tracotanza nelle parole pronunciate da Domenico Assinnata richiama alla mente la sceneggiata organizzata a dicembre 2015, quando a Paternò i cerei in processione per festeggiare Santa Barbara furono fatti fermare e inchinare davanti all’allora 25enne figlio del boss Turi. Immagini che rimbalzarono sulle tv nazionali, con tanto di bacio a suggellare l’omaggio. In questi cinque anni, il figlio del capomafia è tornato al centro dell’attenzione per vicende che, in un modo o nell’altro, hanno avuto sempre qualcosa di plateale: prima, nel 2018, la decisione di diventare un collaboratore di giustizia, meno di un anno dopo il clamoroso dietrofront giustificato con l’assunzione di sostanze stupefacenti e la conseguente perdita di lucidità.
Assinnata, insieme al nonno Mimmo, sono tra le persone arrestate nei giorni scorsi nel blitz Jukebox. Una storia su cui Cosa nostra aleggia come un fantasma da richiamare per fare paura, per ricordare che a dettare la legge è la forza. L’appartenenza ai clan come passepartout per perpetrare qualsiasi tipo di sopruso. Al centro dell’inchiesta c’è la storia di due imprenditori – padre e figlio – e della loro condizione di assoggettamento durata quasi vent’anni. Periodo nel quale hanno dichiarato di avere pagato centinaia di migliaia di euro sotto forma di pizzo agli esponenti dei gruppi criminali legati alla famiglia Santapaola-Ercolano attivi a San Giovanni Galermo e a Paternò. Dazi a cui, secondo le parole di entrambi, che ad aprile hanno deciso di denunciare tutto, era necessario sottoporsi per evitare di vedere «saltare in aria» i supermercati della famiglia. La morsa era stata stretta attorno ai punti vendita della catena Eurospin di Aci Sant’Antonio, Misterbianco e Valcorrente, a Belpasso. Oltre che a una rivendita di tabacchi nel quartiere catanese di San Giorgio.
In cambio, come da tradizione, la promessa di non dovere avere a che fare con altri tipi di disturbi. Niente rapine, né danneggiamenti. Un vantaggio non da poco, secondo gli assicuratori di Cosa nostra. Tuttavia, come spesso accade, in questo genere di storie l’onore scarseggia e le parole restano solo parole. Tra le vicende messe a verbale dagli imprenditori, che ad aprile si sono decisi a denunciare i propri estorsori, ce n’è anche una che tira in ballo direttamente Domenico Assinnata. Il 30enne si sarebbe mosso per punire uno dei dipendenti dei supermercati, accusato di avere fatto da basista per uno scippo subito dalla moglie e madre degli imprenditori.
La spedizione – organizzata con il bene placito di entrambi i clan – si sarebbe rivelata fallimentare, ma nonostante ciò Assinnata avrebbe preteso 500 euro per il disturbo. Ma non solo: «L’indomani – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Luca Lorenzetti – si erano presentati presso la sua abitazione e Assinnata gli aveva detto che, a causa della spedizione punitiva, (il soggetto, ndr) non si faceva più trovare e, poiché era debitore nei suoi confronti della somma di seimila euro per una fornitura di droga, il debito doveva essere pagato da lui». Così, nel giro di due giorni l’imprenditore si era trovato costretto a pagare duemila euro con l’impegno di doverne dare altri quattromila euro, per saldare la droga non pagata dallo stesso che sospettava avesse contribuito a organizzare l’aggressione della madre.
Ma le disavventure non finiscono qui, così come l’interesse, solo apparente, dei clan a dare una mano. Se da una parte Assinnata prende di mira l’imprenditore, aggredendolo davanti alla recriminazione – provata dalle telecamere – di avergli pure rubato il cellulare durante la visita a casa, altri esponenti dei Santapaola-Ercolano si sarebbero fatti avanti. «Poiché di questa aggressione da me subita ne venne a conoscenza Carmelo Basile, padre di Salvatore Basile (entrambi arrestati, ndr)», inizia a racconta l’imprenditore, sciorinando una sfilza di nomi di persone che confermavano il torto subito dai titolari dei supermercati e dicendosi dispiaciuti promettevano di fare quanto in loro potere per sedare gli animi. In cambio, chiaramente, l’imprenditore si era sentito nella condizione di mettere nelle mani dei due Basile altrettante mazzette da 500 euro l’una.
«Gli Assinnata ci hanno fatto sempre delle richieste di carattere estorsivo – ha messo a verbale l’imprenditore -. Per le festività natalizie e pasquali abbiamo sempre consegnate diverse casse di champagne e altri prodotti dolciari. Domenico senior in un’occasione mi convocò presso la sua abitazione e mi disse che per smorzare l’astio di suo nipote Domenico nei miei confronti avrei dovuto corrispondergli una somma di denaro mensilmente o avrei dovuto fargli gestire i parcheggi dei nostri punti vendita».
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