Cronaca

Messina, i Santapaola tra affari e corruzione in Comune Trenta arresti, «ai padrini si sono sostituiti i manager»

A Messina c’è una diretta emanazione della famiglia di Cosa nostra catanese dei Santapaola. Una cellula perfettamente operativa, che si interessa di appalti pubblici e corrompe funzionari della pubblica amministrazione (e in particolare del Comune messinese). E che farebbe riferimento a stretti parenti di Nitto Santapaola, cioè Francesco e Vincenzo Romeo, rispettivamente marito e figlio della sorella di Nitto, Concetta Santapaola.

Ci sono anche i colletti bianchiprofessionisti, l’ex presidente dei costruttori di Messina Carlo Borella, imprenditori, titolari di società, funzionari del Comune – nell’operazione del Ros dei carabinieri che, questa mattina – su richiesta del procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dei sostituti Liliana Todaro, Maria Pellegrino e Antonio Carchietti – stanno eseguendo 30 arresti nelle province di Messina, Catania, Siracusa, Milano e Torino. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, frode, turbativa d’asta, esercizio abusivo dell’attività di scommesse, riciclaggio e reati in materia di armi.

Il ruolo di vertice sarebbe stato rivestito da Vincenzo Romeo, sotto la supervisione del padre, Francesco, e con la collaborazione dei fratelli, Pasquale, Benedetto e Gianluca Romeo. Accusato di concorso esterno all’associazione è l’avvocato Andrea Lo Castro, «che avrebbe messo a disposizione del sodalizio le proprie competenze professionali per consentire il riciclaggio di denaro proveniente da reati, la falsa intestazione di beni e l’elaborazione di strategie per la sottrazione, in frode ai creditori, della garanzia patrimoniale sulle obbligazioni, prestandosi in prima persona anche a fungere da prestanome per l’intestazione di beni».

La Procura di Messina sottolinea come questo gruppo abbia sostituito la figura dei padrini con quella di manager. «Si tratta – sottolineano gli inquirenti – di una entità capace di teorizzare, come emerge nelle intercettazioni, l’abbandono delle forme criminali violente e del rituale mafioso per gestire società di servizi, controllare in modo diretto appalti su scala nazionale (emergono interessi sulla autostrada Salerno-Reggio Calabria ed Expo), gestire il gioco illegale e le scommesse della massima serie calcistica, operare attraverso la corruzione e il clientelismo il controllo sull’attività di enti pubblici, attivare informatori e complici presso uffici pubblici (anche presso organi di polizia e uffici della procura)».

Che i rapporti con Cosa Nostra catanese, in ogni caso, fossero saldi lo dimostrerebbe un episodio in particolare, risalente al marzo del 2014, quando il Ros sequestra la società Geotrans, beni per oltre 10 milioni di euro ai fratelli Vincenzo Ercolano e Cosima Palma, considerati eredi di Pippo Ercolano, esponente di spicco della famiglia etnea. In questa occasione Vincenzo Romeo si sarebbe fatto carico del finanziamento economico dei sodali catanesi.

Questo gruppo avrebbe agito a un livello più alto rispetto ai clan militari di Cosa Nostra messinese, i cui esponenti, ogni volta che si sono imbattuti negli interessi dell’associazione guidata dai Romeo, si sarebbero fermati, obbedendo. Il pizzo poi sarebbe stato sostituito da altre forme di intervento economico, grazie anche a società che forniscono servizi alle imprese (come le cooperative nel settore dalle forniture alimentari) o che gestiscono in subappalto la fornitura di prodotti parasanitari per conto delle ASL. Poca violenza, ridotti al minimo i tradizionali reati tipici dell’associazione mafiosa, e molte amicizie importanti dunque, con l’obiettivo, raggiunto, di infiltrare e finanziare diversi settori dell’imprenditoria.

A spiegarlo, in una illuminante intercettazione, è Stefano Borella, altro destinatario di misura cautelare, che spiega al proprio interlocutore l’ordine imposto da Cosa Nostra messinese: «Fanno, costruiscono, sistemano, cercano di fare attività … hanno eliminato del tutto il pizzo… il primo che chiede il pizzo lo ammazzano loro… perché dice ci stiamo rovinando da soli. Non esiste più l’antica… addio pizzo… sarà qualche clan a Palermo, ma qua non esiste più, le posso garantire che non esiste più».

In primo luogo quello delle scommesse online. «Sono stati accertati – scrivono gli investigatori – cospicui interessi nella gestione di centri scommesse e nella distribuzione di macchinette video-poker in provincia di Messina attraverso le società Start S.r.l., Win Play Soc.Coop. e Bet Srl». Ci sarebbe poi un’altra società, di ambito nazionale, la Primal srl (titolare di una concessione con diritti su 24 sale e 71 corner) su cui Vincenzo Romeo avrebbe avuto influenza. «È stato proprio Romeo, nel corso di alcune intercettazioni ambientali – sottolineano i carabinieri – a spiegare di aver preso parte a Roma ad un incontro con i finanziatori di detta società e che nell’occasione sarebbero stati presenti numerosi rappresentanti di diverse famiglie della Sacra Corona Unita e della ‘Ndrangheta, i quali avrebbero riconosciuto a Romeo il suo ruolo».

Altro settore in cui i Romeo avrebbero avuto interessi sono le corse clandestine di cavalli e la raccolta di scommesse che vi ruota attorno. Ma soprattutto è negli affari immobiliari e nei lavori edili in genere che l’associazione si sarebbe impegnata a difendere i propri interessi. Una presenza diretta, in prima linea e non finalizzata a chiedere il pizzo ad altri. Per questo Vincenzo Romeo avrebbe intrattenuto rapporti con esponenti della ‘ndrangheta, in particolare con esponenti della cosca dei Barbaro di Platì. Con loro avrebbe stabilito la messa a posto delle società messinesi Demoter S.p.a., riconducibile all’imprenditore Carlo Borella, e Cubo S.p.a.

Queste due ditte sarebbero state finanziate dal gruppo dei Santapaola a Messina e si sarebbero occuipate, tra le altre cose, dei lavori di realizzazione e parziale adeguamento della strata statale 112 112 Bovalino-Platì-Zillastro-Bagnara, in Calabria. «Il dato – scrivono i carabinieri – è emerso, ancora una volta, dalla narrazione autentica di Vincenzo Romeo, che nel sottolineare di aver investito nelle attività del Borella cospicue somme di denaro, ha chiarito di aver fatto valere il proprio lignaggio mafioso per mitigare le pretese dei calabresi per i lavori svolti in Calabria dalla Cubo S.p.A.».

Sempre nel settore immobiliare, è importante un episodio in cui l’associazione sarebbe intervenuta per comprare edifici da adibire ad alloggi popolari. Procedura di acquisto deliberata dal Comune di Messina per risanare l’area di Fondo Fucile. In questo caso emergerebbe «l’inquietante rapporto collusivo con alcuni esponenti dell’ufficio Urbanistica dell’amministrazione locale, funzionale all’aggiudicazione dell’appalto, al quale non si è dataesecuzione per rinuncia degli stessi indagati che, in corso d’opera, hanno ritenuto economicamente più vantaggioso alienare gli immobili sul libero mercato».

Dalle intercettazioni è emersa, inoltre, la disponibilità di armi in capo al gruppo e l’esistenza di collusioni con esponenti delle istituzioni per ottenere notizie su eventuali indagini in corso.

Ecco tutti gli arrestati:

In carcere

Vincenzo Romeo (Messina)
Benedetto Romeo (Messina)
Pasquale Romeo (Messina)
Antonio Romeo (Messina)
Stefano Barbera (Messina)
Biagio Grasso (Milazzo)
Giuseppe Verde (Messina)
Marco Daidone (Messina)
N. L. (Messina) (nome aggiornato con le sole iniziali perché successivamente assolto, ndr)
Andrea Lo Castro (Messina)
Raffaele Cucinotta (Messina)
Salvatore Galvagno (Catania)
Carmelo Laudani (Catania)
Vincenzo Santapaola (Catania)
Roberto Cappuccio (Siracusa)
Mauro Guernieri (Genova)
Antonio Lipari (Messina)
Salvatore Lipari (Messina)

Ai domiciliari

Francesco Romeo (Messina)
Italo Nebiolo (Torino)
Silvia Gentile (Messina)
Salvatore Boninelli (Paternò)
Salvatore Piccolo (Venetico – Me)
Stefano Giorgio Piluso (Messina)
Maurizio Romeo (Messina)
Gaetano Lombardo (Messina)
Giuseppe Amenta (Messina)
Lorenzo Mazzullo (Messina)

Redazione

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