COME SPESSO ACCADE, LA PARTITA CHE SI GIOCA IN SICILIA E’ NAZIONALE. SULLO SFONDO NON C’E’ SOLO LA NUOVA GIUNTA REGIONALE, MA ANCHE LO SCONTRO TRA EX DEMOCRISTIANI ED EX COMUNISTI DEL PD
L’unica cosa certa è che la situazione politica è confusa. E non è facile capire quello che succederà oggi. Con i nomi dei nuovi assessori regionali, con molta probabilità, si è cementata l’alleanza tra la segreteria nazionale del PD e i potenti della Sicilia di oggi: il senatore Giuseppe Lumia, il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, e il presidente Rosario Crocetta. A Roma, a gestire l’accordo, sono il segretario Matteo Renzi e il suo braccio destro in Sicilia, Davide Faraone.
Che succederà, nelle prossime ore? Che la situazione si stava mettendo male lo si era capito domenica sera, quando da Roma arrivava la notizia della candidatura, alle elezioni europee, nel collegio Sicilia-Sardegna, del Sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini. Non che il suo nome, nelle settimane precedenti, non fosse circolato. Ma a suscitare perplessità è stato il modo inusuale con il quale, di fatto, la segreteria nazionale ha smentito, dopo 24 ore, l’operato del segretario regionale del PD siciliano, Fausto Raciti.
Il giorno prima, infatti – sabato 5 aprile – Raciti, a Palermo, nei saloni dell’Hotel delle Palme, nel corso di una conferenza stampa, aveva presentato la “capolista del PD” nel collegio Sicilia-Sardegna: e cioè Caterina Chinnici, magistrato, figlia di Rocco Chinnici, il giudice assassinato dalla mafia nei primi anni ’80 del secolo passato.
L’indomani – nel pomeriggio di domenica scorsa – è arrivata la pesante smentita della segreteria nazionale di Matteo Renzi, che annuncia non solo la candidatura di Giusy Nicolini, ma la dà pure come ‘capolista’, pur sapendo di smentire clamorosamente il segretario regionale del PD siciliano.
In questo passaggio si può notare lo ‘stile’ politico di Renzi: pur di colpire il segretario regionale del PD non ha esitato un istante a contrapporre, per i propri giochi di potere, due grandi persone per bene: Caterina Chinnici e Giusy Nicolini. E’ lo stesso ‘stile’ con il quale Renzi vuole abolire il Senato: si fa come dico io e basta!
Raciti, è noto, è espressione dell’area Cuperlo. Voluto anche da Renzi per una ‘pacificazione’, a quanto pare di facciata, con i suoi avversari interni nel Partito. Renzi e il suo fido Faraone sanno benissimo che la candidatura di Caterina Chinnici non è solo farina del segretario del PD siciliano, ma di tutta l’area Cuperlo della Sicilia.
Il punto, forse, è proprio questo: prima con la candidatura di Giusy Nicolini chiamata a ‘togliere’ il posto di ‘capolista’ a Caterina Chinnici e, ieri sera, con un accordo sulla Giunta che ha scavalcato l’area Cuperlo siciliana, Renzi e Faraone, con molta probabilità, stanno provando a umiliare pubblicamente tutta l’area Cuperlo della Sicilia, ‘colpevole’, agli occhi di Renzi, di non avere dato allo stesso segretario nazionale una vittoria schiacciante in occasione della sua elezione a segretario nazionale.
Con molta probabilità, quello andato in scena ieri sera è il tentativo, messo in campo da Renzi e Faraone, di polverizzare l’area Cuperlo siciliana. Non è da escludere che, già da oggi, possa prende corpo, da parte della segreteria nazionale del PD, una sorta di ‘offensiva di pace’: ovvero il tentativo di far passare, ad uno ad uno, i parlamentari di Sala d’Ercole dell’area Cuperlo alla magmatica e trasformista area dei renziani siciliani: una specie di ‘suk’ meta-parlamentare governato da ex democristiani al servizio dei ‘Principi’ di turno.
Da osservatori non possiamo non notare che nell’alleanza che si è cementata attorno a Renzi e Faraone, oltre ai già citati Lumia, Montante e Crocetta, ci sono i big del lombardismo al gran completo, da Lino Leanza a Giovanni Pistorio. E c’è soprattutto il solito, immancabile Totò Cardinale da Mussomeli, ‘mestolo di tutte le pignate’ politiche siciliane, negli anni ’70 e ’80 allievo, anche se non prediletto, dell’ex Ministro Calogero Mannino, sempre in piedi negli anni ’90 nella diaspora democristiana e protagonista – a Roma e in Sicilia – dell’operazione Udeur di Cossiga-D’Alema alla fine degli anni ’90. E ancora sempre in piedi nella Margherita e poi nel PD, dove ha sistemato la figlia a Montecitorio.
Ma, peripezie di Totò da Mussomeli-sempre-in-piedi a parte, resta da capire che cosa faranno, adesso, i cuperliani siciliani. La partita che si gioca in Sicilia – in questo caso dentro il PD – come è spesso accaduto negli ultimi quarant’anni di vita politica italiana, è nazionale.
Dietro la ‘punizione’ decisa da Renzi nei riguardi dei cuperliani siciliani c’è sì la già citata voglia di ‘farla pagare’ al PD siciliano che non ha votato Renzi alle elezioni dello stesso segretario nazionale del Partito, ma c’è anche un messaggio a tutti i cuperliani del nostro Paese e, in generale, a tutta l’area del PD di derivazione post comunista.
Si tratta di una grande area del PD che ha vissuto nel rispetto della Costituzione italiana del 1948. Dirigenti del PD che guardano con molti dubbi – assolutamente legittimi – alla superficialità con la quale il Governo Renzi sta ‘obbedendo’ agli ‘ordini’ di un’Unione europea forse un po’ troppo filo-tedesca, che chiede non solo l’abolizione del Senato, ma l’eliminazione di tutti i presidi di democrazia partecipata dal popolo: ovvero anche l’abolizione delle Province e, soprattutto, delle Regioni, comprese le cinque Regioni a Statuto speciale.
Nel ‘riformismo’, o presunto tale, di Renzi e del suo Governo non c’è l’economia: non c’è il rilancio della domanda al consumo: non ci sono le imprese e le famiglie da sostenere: non c’è la creazione di nuova occupazione. Almeno fino ad ora, ci sono soltanto una legge elettorale truffaldina – l’Italicum che Berlusconi in queste ore reclama, visto che è l’unico mezzo per mantenere in vita i suoi fedeli ‘pretoriani’ – e l’abolizione di Senato, Regioni e Province.
Su questi ‘desiderata’ dei poteri forti – Germania in testa – Renzi si gioca la sua credibilità politica nazionale e internazionale, già appannata dopo poche settimana di Governo. Il ‘messaggio’ che ha mandato alla Sicilia, in fondo, è anche un messaggio a tutto il PD di derivazione ex comunista. Della serie: io sono il ‘capo’, ho preso impegni con l’Unione europea dell’euro e voi ex comunisti dovete fare quello che dico io!
E’ un messaggio politicamente rozzo, quello di Renzi. Che – questo va detto in sua ‘difesa’ – ‘raffinato’, in politica, non lo è mai stato (la stessa parola ‘rottamare’ non sarebbe mai stata pronunciata da un democristiano di razza: al massimo, sarebbe uscita dalla bocca di qualche ‘doroteo’ di provincia…).
Resta da capire cosa farà, adesso, il PD siciliano. O meglio, i cuperliani siciliani. Che nella nostra Isola sono maggioranza all’Ars e, in generale, nel Partito. Oggi pomeriggio è convocata la direzione regionale del PD siciliano.
In politica, si sa, gli scenari possono essere tanti. Perché le mediazioni sono infinite. Ma la faccia è una sola. Detto in parole semplici, se i cuperliani dovessero accettare di ‘ingoiare’ il rospo, anzi, i ‘rospi’ che nelle ultime ventiquatr’ore Roma gli ha rifilato, beh, rischierebbero di perdere la faccia.
Il rischio di una rottura tra cuperliani siciliani da una parte e Renzi, Faraone, Lumia, Montante e Crocetta dall’altra parte deve essere stato calcolato da questi ultimi.
Ricordiamo che a Sala d’Ercole i parlamentari cuperliani dovrebbero essere undici. Se consideriamo gli altri Partiti di opposizione, il Governo Crocetta non dovrebbe avere vita facile. A meno che…
Arriviamo all’altro snodo dell’attuale vicenda politica. Se oggi si dovesse arrivare a una rottura tra cuperliani siciliani da una parte e Renzi e Governo Crocetta dall’altra parte, l’attuale Governo regionale avrebbe bisogno di una ‘sponda’ per andare avanti a Sala d’Ercole.
Lo ripetiamo: non sappiamo cosa succederà oggi nel corso della direzione regionale del PD. Ma notiamo – l’abbiamo già scritto in altra parte del giornale – che Crocetta ha lasciato in Giunta Mariarita Sgarlata: un ‘salvataggio’ che gli è stato richiesto esplicitamente dal gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle all’Ars che – credeteci – nei fatti è molto più ‘inciucista’ di quanto sembri.
Agli osservatori non sarà certamente sfuggito il “sì” di questi 14 parlamentari alla legge di ‘riforma’ delle Province: legge che non riforma una mazza, ma che è stato solo un grande regalo a Lumia e Crocetta, che per un altro anno si sono assicurati la gestione di nove Province con i Commissari.
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