Corsa al vertice della Procura di Catania  Il testa a testa per il dopo Giovanni Salvi

Incertezza assoluta. In queste due parole si racchiude la corsa al vertice della Procura di Catania. Il posto lasciato vacante è quello di Giovanni Salvi, magistrato pugliese che ha retto gli uffici giudiziari per quattro anni prima di essere nominato dal consiglio superiore procuratore generale a Roma. Il termine per la presentazione delle domande è slittato dal 30 settembre al 15 ottobre per l’adeguamento al decreto Madia sulla pubblica amministrazione. Salvi, soprannominato lo straniero, lascia un ufficio più appetibile rispetto agli anni passati. Con un ritorno mediatico non indifferente e, almeno in apparenza, una relativa pacificazione dei veleni che l’hanno caratterizzata in passato, la procura di Catania potrebbe stimolare le candidature non solo di vecchie conoscenze degli uffici di piazza Verga, ma anche di veri outsider e di alcuni magistrati non siciliani. L’eredità, però, non è per i deboli di cuore. Dal processo d’appello a Raffaele Lombardo alla vicenda giudiziaria legata a Mario Ciancio Sanfilippo, editore del quotidiano La Sicilia accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, fino all’inchiesta sul centro richiedenti asilo di Mineo in cui tra gli indagati figura il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione.

Tra i possibili candidati attualmente in servizio a Catania, due sono i nomi più papabili: gli aggiunti Carmelo Zuccaro e Amedeo Bertone. Difficile ipotizzare la corsa dell’attuale – e già nel passato – reggente Michelangelo Patanè, ormai vicino alla pensione. A favore dei primi due c’è una solida esperienza nelle inchieste su Cosa nostra. Zuccaro si è occupato del processo sulla strage di Capaci, mentre Bertone ha nel suo curriculum l’indagine Orsa maggiore sulla famiglia Santapaola-Ercolano e quella sull’omicidio del giornalista Giuseppe Fava. Di recente, il nome di Zuccaro – insieme a Patanè – è stato oscurato dalla loro scelta di derubricare in voto di scambio semplice l’accusa di concorso esterno alla mafia nei confronti dell’allora governatore Raffaele Lombardo. Che invece verrà poi condannato a sei anni e otto mesi. In ogni caso, il magistrato dovrebbe correre anche per la nomina a procuratore capo a Caltanissetta. Questo aprirebbe lo spazio a Bertone, tornato da qualche anno a Catania dopo un periodo trascorso nel Nisseno. Negli anni ’90 è stato tra i componenti di punta della direzione distrettuale antimafia etnea, prima che il cosiddetto caso Catania e le denunce al Csm a partire dalla gestione dell’indagine a carico dell’imprenditore Sebastiano Scuto provocassero un terremoto in procura e un clima di veleni che ha visto isolati il collega Nicolò Marino – poi assessore con Crocetta, ndr – e l’allora presidente del tribunale dei minori Giambattista Scidà.

Catanese, ma in servizio dal
2008 a Ragusa, è invece Carmelo Petralia. Il magistrato, attualmente a capo della Procura iblea, si occupa del caso di Veronica Panarello, la mamma di Santa Croce Camerina accusata di aver ucciso il figlio Loris Stival. In carcere da quasi un anno, non ha ancora ricevuto la formale richiesta di rinvio a giudizio. Anche Petralia, come Zuccaro e Bertone, è passato dagli uffici di Caltanissetta. Un periodo particolare quello per la Procura nissena, spazzata via dall’inganno del finto pentito Vincenzo Scarantino nel delicato processo sulla morte di Paolo Borsellino. Da Messina a Catania è invece il passaggio che potrebbe riguardare Sebastiano ArditaGuido Lo Forte. Il primo, classe ’66, catanese, è procuratore aggiunto nella città dello stretto. Dal 2002 al 2011 è stato al vertice del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e proprio in questi giorni ha presentato il suo libro sulla storia della mafia a Catania. Un’occasione che a molti non è parsa casuale. Lo Forte, attualmente a capo della Procura peloritana, viene invece ricordato per essere stata la mente brillante del pool di Giancarlo Caselli che ha sostenuto il processo a Giulio Andreotti. Di recente, Lo Forte aveva avanzato la propria candidatura per l’altro importante ufficio dell’isola, la procura di Palermo, perdendo però anche il ricorso avanzato contro la designazione del magistrato Francesco Lo Voi.

Tra i tanti nomi possibili, infine, due potrebbero essere i non catanesi in corsa. Voci non confermate portano a Nicola Gratteri, che attualmente ricopre il ruolo di procuratore aggiunto a Reggio Calabria, e alla magistrata napoletana Ilda Boccassini. Classe 1949, Boccassini si è occupata di mafia all’inizio della sua carriera: collaboratrice e amica di Giovanni Falcone, ha chiesto il trasferimento a Caltanissetta dopo le stragi del ’92 per occuparsi delle indagini. Ha fatto parte anche del pool che ha condotto alla storica inchiesta su tangenti e politica Mani pulite. Di recente, però, il suo nome è finito in una bufera mediatica per l’ennesimo scontro giudiziario con l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: nonostante tre diversi processi – lodo Mondadori, caso Sme e Ruby -, Boccassini non è mai riuscita a far valere le accuse nei suoi confronti. Da Nord a Sud c’è poi Gratteri, tra i magistrati con la maggiore esperienza di contrasto alle mafie. E anche scrittore. A Catania, il magistrato potrebbe tornare a lavoro con Renato Panvino, capo centro della Dia etnea con un passato proprio in Calabria. Ma Gratteri pare preferire la Procura di Catanzaro, per continuare le delicate inchieste sulla ‘ndrangheta che gli sono valse la candidatura al ministero della Giustizia e qualche critica, come nel caso della più grande operazione antimafia a Platì, cominciata con più di cento arrestati ma conclusa con soli otto condannati.

Dario De Luca

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