Corleone, migranti al lavoro nei terreni confiscati «Paura dei boss? Un po’, ormai si sono integrati»

«Chi è che lavora adesso i campi confiscati alla mafia a Corleone? La risposta potrebbe sorprendervi». Scriveva così su Twitter Bill Neely, giornalista della Nbc all’indomani della sua visita tra le terre che una volta erano di Totò Riina. Quei terreni tolti ai boss e consegnati nelle mani delle cooperative, infatti, danno lavoro a undici giovani migranti. Sono di etnie diverse, alcuni sono rifugiati, altri richiedenti asilo e sono al centro di un progetto chiamato Drago, finanziato dalla fondazione Con il Sud, che si serve dell’aiuto di diverse associazioni tra cui la cooperativa Lavoro e non solo, l’associazione I Girasoli e l’Arci Sicilia. 

«Il progetto è partito a marzo – racconta Calogero Santuro, presidente de I Girasoli – e punta all’inserimento sociolavorativo di questi ragazzi, che hanno dai 19 ai 30 anni e stanno imparando un mestiere attraverso un vero e proprio percorso formativo. Qui imparano le tecniche dell’agricoltura biologica e del turismo rurale e le mettono in pratica grazie a una work experience». E nei campi i migranti non solo si occupano delle vigne. «Hanno imparato a potere le viti – continua Santuro – ma anche gli ulivi. Per adesso si stanno occupando delle colture cerealicole per esempio e sono impegnati in un laboratorio per l’impacchettamento dei legumi. Il programma finirà a ottobre, ma speriamo che qualcuno di loro possa rimanere a lavorare su queste terre».

Nel reportage di Neely si fa anche riferimento alla paura che questi giovani, che già hanno attraversato molte difficoltà per arrivare in Italia, hanno nel lavorare in delle proprietà appartenute ad alcuni tra i boss più temuti della storia mafiosa. I giovani migranti sono stati anche informati sulla storia della mafia e del movimento antimafia. «Paura? – prosegue il presidente dell’associazione – Certo, i ragazzi sanno chi sono i boss e hanno la consapevolezza di dove si trovano. Ma la paura è combattuta con l’integrazione. Girano da soli per le vie del paese, vanno al bar, giocano a calcio, stanno insieme alla gente del luogo. Penso che questo progetto sia il massimo compimento della legge sui beni confiscati, se i nostri ragazzi fossero in preda alla paura e non si fossero integrati sarebbe tutto lavoro sprecato».

Anche gli alloggi in cui gli undici migranti, che provengono da Africa e Asia, abitano sono dei beni confiscati e assegnati alla cooperativa corleonese Lavoro e non solo, diretta da Calogero Parisi. Da qui ogni mattina partono verso la loro work experience, che gli frutta una piccola diaria e li porta anche fuori dai confini del Palermitano, come nel caso dei terreni sottratti alla mafia di Canicattì. «L’esempio più bello di integrazione – conclude Santuro – si ha d’estate, quando arrivano da tutta Italia i ragazzi che si impiegano volontariamente nei campi di lavoro. I migranti fanno loro da tutor, da istruttori, e si crea uno scambio straordinario tra gente della stessa generazione, ma con culture completamente diverse».

Gabriele Ruggieri

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