Congresso Pd, Pippo Civati sbarca in Sicilia Il «candidato schietto» tra ex Pci e dissidenti

Le cose cambiano cambiandole. Uno slogan forse non troppo originale, ma schietto. La dote principale, secondo sostenitori e non, di Giuseppe Civati, 38 anni, per tutti Pippo, ex consigliere regionale lombardo oggi alla Camera, uno dei quattro candidati alla segreteria nazionale del Partito democratico insieme a Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Gianni Pittella. Attivo da anni sul web, a raggiungerlo per un incontro ieri a Misterbianco non sono stati soprattutto i venti e trentenni catanesi. Ma i loro genitori e, in qualche caso, i nonni che hanno riempito il centinaio di posti del teatro comunale del paesino etneo. Tra pochi applausi sinceri e tante risate. Diverse in qualche modo da quelle a cui la politica ha abituato gli elettori in questi anni: «Perché nelle mie battute non c’è né sarcasmo né superficialità – commenta Civati – Ma solo la voglia di sdrammatizzare l’attualità». Eppure, con Civati come interlocutore, i catanesi sembrano avere voglia di parlare anche di altri temi. C’è Luca, figlio di un operaio e di una maestra, «passato presto dalla classe operaia a quella borghese» che invoca la coscienza e la lotta di classe. Ci sono i più anziani che premettono la loro storica militanza nel Pci. C’è la trentenne confusa che si chiede i veri motivi della politica: «La gloria o la voglia di servire il popolo?».

A non far ridere nessuno, invece, è la situazione del Pd catanese e non solo. Sintetizzata nelle parole di Danilo Festa, democratico di Motta Sant’Anastasia, e Valentina Spata, responsabile del gruppo Civati in Sicilia. «In poche settimane abbiamo raggiunto i cinquemila tesserati. In tutto il 2013 erano stati quattromila», dice Festa. Tutt’altro che un successo. «Questi nuovi iscritti non sono passati dai circoli, come vuole il regolamento del Pd – spiega Spata – Pacchetti di tessere sono stati consegnati in bianco ai sindacati e a singole personalità». Per un reclutamento coatto dei futuri elettori al Congresso, denunciano i due. «Il Pd è ormai il partito dei signori, della classe dirigente regionale che compra i pacchetti di tessere, ma allo stesso tempo è assente su tutti i territori – continua Spata – Un partito che si dice vincitore delle regionali, così come delle politiche, non si può sentire. Ma noi, ci dicono, vinciamo sempre». «E’ questa la nostra risposta a chi vota il Movimento 5 stelle? Contiamo le tessere? Siamo dei marziani», risponde Civati.

Che non ha mai sentito parlare così tanto di tesseramento come in Sicilia. Una spia importante. «Se dovessi vincere io, qui non ci sarebbe da rottamare, ma da sostituire», dice a CTzen a proposito delle personalità locali del partito. L’incontro scivola veloce tra domande e risposte sul governo, le larghe intese, il futuro del Pd. Sempre più simile alla Democrazia cristiana, nelle parole di relatori e pubblico. Così come altrettanto spesso viene nominata la senatrice democratica Anna Finocchiaro: esempio isolano di come il pubblico non vorrebbe il partito di domani. Su questo Civati ha le idee chiare: «Le cose non si fanno tradendo il mandato degli elettori, ma confrontandosi e tenendo fermi i contenuti». Una politica «leggibile, trasparente, rigorosa. E anche un po’ semplice, che sia vicina alla gente», almeno nelle intenzioni del candidato. Con delle larghe intese che vanno «da Romano Prodi a Stefano Rodotà, per dire due simboli», ricordando l’ex alleato tradito Nichi Vendola. «La sinistra si deve ricompattare», riassume Civati.

«La politica per me è una grande occasione collettiva. Lo dicono sempre a Renzi: non basta un leader». E il sindaco di Firenze, sfidante al Congresso, è il vero convitato di pietra del pomeriggio. Il suo nome aleggia tra il pubblico, ma sono in pochi a farlo. Per lo più appena fuori dalla sala. Pochi metri, e sui gradini accanto all’ingresso del teatro comunale stanno in crocchio una decina di persone, dai 60 agli 80 anni. Ex Pci indecisi tra Beppe Grillo e Vendola, berlusconiani convinti, renziani. I primi a parlare sono questi ultimi: «Perché, anche se è simile a Berlusconi, è l’unico che può batterlo. E questa è l’unica cosa che importa. E poi è giovane, un volto nuovo». Classe 1975, esattamente come Civati. «Nel Pd si è giovani fino a 60 anni. Renzi ha tre figli, io una bambina piccola. I veri giovani hanno 20 anni. Quelli che ci dicono “Siete un po’ strani, ma vi diamo l’ultima occasione”», commenta il candidato. Che, nel gruppo, ha un sostenitore: «È serio e adesso ci servono persone così. Di leader carismatici ne abbiamo avuti abbastanza. E pure di comici».  Tutti, sostenitori e non, su una cosa sono d’accordo: se il carisma è il tratto distintivo del sindaco di Firenze, la schiettezza è quello di Civati.

Che dice di differenziarsi dallo sfidante, nonostante un iniziale percorso comune, per «la coerenza nell’idea di rinnovamento. A un parlamentare con 40 anni di esperienza io preferisco un ragazzo». Per non dire della rottamazione del partito stesso, «che io porto avanti da anni, dall’interno». L’uomo dei dissidenti ma non l’uomo più a sinistra. Non si rivede in questa etichetta Civati. «Io sono un liberale. E voglio una rivoluzione liberale, vissuta comunque con un impianto di sinistra». Un esempio? «Tasse più basse sul lavoro e uno strumento di garanzia universale che non può essere la cassa integrazione». Semmai una sorta di sussidio a disoccupati e neo licenziati. Più in generale, l’obiettivo è riconquistare la fiducia delle persone, soprattutto al Sud, dove il Pd sembra essere anni luce lontano dai territori. «Voglio una politica esemplare e non più un sistema di potere», conclude. Prima di salire in macchina, alla volta di Messina.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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