Resterà sotto confisca un conto luganese intestato a Salvatore Scuto, figlio dell’imprenditore puntese Sebastiano. A deciderlo è il tribunale penale federale della Svizzera. I cui giudici hanno scelto di proseguire sulla linea tracciata dal ministero della Confederazione con il primo decreto. Il patrimonio finito sotto la lente d’ingrandimento ammonta a oltre 700 mila franchi svizzeri e un’assicurazione. Secondo i giudici «i valori patrimoniali sarebbero stati per svariati anni nella disponibilità dell’organizzazione dei Laudani». Clan a cui da anni è affiancato il nome di Sebastiano Scuto. A leggere il dispositivo è stato il giudice elvetico Giuseppe Muschietti con a latere i due togati Daniel Kipfer Pasciati e Sylvia Frei. L’accusa è stata sostenuta dal procuratore federale Raffaele Cacesse. Per la difesa, il figlio dell’ex re dei supermercati si è invece affidato all’assistenza legale dell’avvocato Roberto Macconi, ritenuto dalla stampa uno dei principali avvocati del paradiso fiscale.
Passate in rassegna durante la requisitoria l’intera trafila giudiziaria di Scuto padre in Italia. Partendo dall’ultimo capitolo, ossia la decisione della corte di cassazione di annullare con rinvio una parte delle sentenza di condanna della corte d’appello di Catania – quella relativa all’espansione economica in provincia di Palermo – che aveva inflitto 12 anni per associazione mafiosa. Confermando invece le contestazioni sulla vicinanza dell’imprenditore al clan dei Laudani e di altri gruppi alleati. Scuto non sarebbe stato vittima della mafia e costretto a pagare le estorsioni ma ha «finanziato Cosa nostra in cambio di protezione – si legge nella sentenza – riciclando tramite le sue aziende i proventi delle attività illecite dei Laudani».
Il conto svizzero, ufficialmente intestato al figlio incensurato Salvatore è stato aperto nel 1997 e foraggiato, secondo l’accusa svizzera, con i fondi illeciti del padre grazie a una procura sul titolo bancario. Denaro che secondo la ricostruzione delle autorità italiane, proveniva dalla collaborazione con il clan mafioso dei Laudani. Secondo la corte, come riporta il quotidiano la Regione Ticino «Scuto non è stato in grado di produrre elementi sulla cui scorta fosse possibile ritenere l’origine lecita dei fondi». La lunga è complessa indagine dei magistrati di Lugano è stata svolta in sinergia con la procura generale di Catania, a cui è stata inoltrata anche una domanda d’assistenza giudiziaria internazionale.
Entro dieci giorni l’avvocato Macconi potrebbe impugnare la decisione della Corte davanti a un nuovo collegio federale. Lo scorso mese di aprile i giudici della quinta sezione del tribunale di Catania avevano deciso di non dissequestrare i beni in Italia, rigettando l’appello proposto dai difensori dell’ex re dei supermercati siciliani. Gli avvocati Guido Ziccone e Giovanni Grasso si erano opposti alla decisione dello scorso 28 luglio 2014 quando la prima sezione della corte d’appello aveva già rigettato una precedente richiesta di dissequestro.
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