Condannato l’ex governatore Lombardo Sei anni e otto mesi per i favori con la mafia

Condannato a sei anni e otto mesi di carcere Raffaele Lombardo, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e un anno di libertà vigilata. Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di voto di scambio aggravato durante le elezioni del 2008 che lo misero alla guida della Regione. Per lui, il procuratore capo Giovanni Salvi aveva chiesto dieci anni di reclusione con le pene accessorie di due anni di sorveglianza vigilata e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Le motivazioni della sentenza verranno depositate in 90 giorni.

Ascolta la lettura della sentenza da parte del giudice

Il giudice dell’udienza preliminare Marina Rizza ha ritenuto il reato elettorale assorbito in quello di concorso esterno: comprovati i rapporti di Lombardo con gli esponenti del clan Santapaola ed altri esponenti di Cosa nostra in Sicilia, ma non quelli con il clan Cappello riferite dal pentito Gaetano D’Aquino per i quali il gup ha assolto l’ex governatore per non aver commesso il fatto. Finisce così la lunga e tortuosa vicenda giudiziaria del fondatore dell’Mpa, in parte condivisa con il fratello Angelo, ex parlamentare nazionale, che il gup ha deciso di sottoporre a processo per l’accusa di concorso esterno, non avendo Angelo Lombardo richiesto il rito abbreviato.

Dalla lettura della sentenza emerge un particolare: Raffaele Lombardo avrebbe favorito il clan mafioso catanese dei Santapaola riguardo alla vicenda del centro commerciale Gli Aranci della Icom spa (oggi Porte di Catania). Un interessamento documentato da una intercettazione: una conversazione con l’editore del quotidiano La Sicilia Mario Ciancio Sanfilippo, anche lui coinvolto nel progetto e per cui è già aperta un’indagine presso la procura etnea. Il giudice ha disposto l’invio degli atti alla Procura.

La disavventura giudiziaria dei due fratelli Lombardo comincia nel novembre del 2010, quando i loro nomi spuntano tra quelli coinvolti nell’indagine Iblis sulle presunte collusioni tra politica, mafia e imprenditoria. Posizioni presto stralciate dal troncone principale per decisione dell’allora procuratore capo facente funzioni Michelangelo Patanè che – insieme all’aggiunto Carmelo Zuccaro – ha avocato a sé le indagini. L’accusa iniziale di concorso esterno viene presto derubricata a reato elettorale perché, spiegavano allora i due magistrati, non avrebbe retto in fase di giudizio: troppo difficile provare non tanto gli eventuali contatti con esponenti di Cosa nostra ma l’effettiva contropartita data dai due indagati in cambio dell’aiuto mafioso alle urne.

Una scelta che ha provocato tensioni anche all’interno della stessa procura e sui cui è stata richiesta una decisione del Csm. Ma soprattutto una decisione con cui si è mostrato in disaccordo anche il giudice per le indagini preliminari Luigi Barone che, a marzo del 2012, dispone l’imputazione coatta per i due. Intanto, a dicembre del 2011, era già cominciata la prima versione del processo per voto di scambio semplice. A cui, sei mesi dopo, i pm chiedono di aggiungere l’aggravante mafiosa, provocando l’azzeramento del procedimento. «Perché adesso abbiamo degli elementi nuovi», spiegava Zuccaro riferendosi alla collaborazione dell’ex reggente di Cosa nostra etnea Santo La Causa.

Il nuovo filone va a intrecciarsi con quello per concorso esterno e le due accuse vengono riunite in un unico processo, abbreviato per l’ex governatore Raffaele Lombardo e ordinario per il fratello Angelo. Così, a partire dall’ottobre del 2012, si arriva a oggi. Alla conclusione di una vicenda giudiziaria durata poco più di due anni, tra racconti dei collaboratori di giustizia, intercettazioni e resoconti del reparto operativo speciale dei Carabinieri.

desireemiranda

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