Commissario dello Stato addio. La Corte Costituzionale si è definitivamente pronunciata sulla legittimità di un’istituzione che in Sicilia è sempre stata oggetto di polemiche e controversie. La sentenza appena depositata, che porta la data del 3 Novembre, è la n.255. In pratica, da oggi viene sancita la fine del controllo preventivo di legittimità delle leggi approvate dall’Assemblea regionale siciliana. Niente più impugnativa, insomma, ma un controllo successivo, con molta probabilità da parte del Consiglio dei ministri, come avviene per le altre regioni.
La decisione era nell’aria. Tanto che avevamo già scritto in proposito lo scorso 31 Ottobre e in alcuni articoli precedenti.
Tutto comincia con un’ordinanza della Consulta, dello scorso Maggio (qui l’articolo sull’atto) che porta la firma del giudice costituzionale, il siciliano Sergio Mattarella. Ordinanza che viene considerata, dai più, alquanto straordinaria. Il tema del pronunciamento, infatti, riguarda il ruolo del Commissario dello Stato rispetto all’abolizione dell’Alta Corte per la Sicilia avvenuta, in verità, nel lontano 1957 con un colpo di mano: il Presidente della Regione dell’epoca, Giuseppe Alessi, disse che l’Alta Corte «era stata sepolta viva». E che la Sicilia era rimasta senza voce.
In pratica, dopo oltre 60 anni, con l’ordinanza di Maggio, i giudici costituzionali, si accorgono dei dubbi di legittimità su una istituzione che aveva un senso fino a quando c’era l’Alta Corte per la Sicilia, quell’organismo, cioè, che doveva contro-bilanciare i poteri dello Stato (rappresentati, appunto, dal Commissario) per dirimere le questioni di legittimità delle leggi siciliane. Le due istituzioni, insomma, sarebbero dovute andare di pari passo. Come in un giusto processo che prevede l’accusa e la difesa. Ma così non è stato.
La Corte Costituzionale, nella sentenza appena depositata, conferma i dubbi. E li trasforma in certezze che parlano di una illegittimità durata oltre 60 anni.
Meglio tardi che mai? Difficile dire se la scomparsa dell’ufficio del Commissario dello Stato possa essere considerato un fatto positivo o negativo. Le interpretazioni saranno tante e diverse. Ma sappiamo con certezza che, negli ultimi tempi, questo ufficio aveva perso un po’ di smalto e, forse, anche, un po’ di terzietà. Tanto da apparire, in più di una occasione, come un organo più politico che tecnico.
Per Gaetano Armao, docente di diritto amministrativo, nonché ex assessore regionale, con la scomparsa di questa figura «si rafforza l’esercizio dell’ Autonomia responsabile, senza l’alibi del Commissario, che serviva a tanti indegni rappresentanti di promettere quel che non era legittimo riconoscere «tanto poi impugna il Commissario dello Stato».
Ecco alcuni passaggi del dispositivo dei giudici costituzionali che richiamano la figura dell’Alta Corte e la necessità di garantire una maggiore autonomia alle region, che non possono essere sottoposte a controllo preventivo:
«… in base alla summenzionata «clausola di maggior favore», questa Corte, effettuando la comparazione fra i due sistemi di controllo delle leggi regionali (quelle a statuto ordinario e quella a statuto speciale, ndr), ha affermato che trova applicazione quello più favorevole all’autonomia, estendendo progressivamente il regime di controllo sulle leggi delle Regioni a statuto ordinario previsto dall’art. 127 Cost. alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, atteso che «la soppressione del meccanismo di controllo preventivo» e l’applicazione della disciplina costituzionale richiamata «si traduce in un ampliamento delle garanzie di autonomia» (sentenza n. 408 del 2002; nonché ordinanza n. 377 del 2002) e «realizza una forma più ampia di autonomia» (sentenza n. 533 del 2002).
«La Corte, nelle decisioni relative al controllo sulle leggi delle Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (ordinanza n. 377 del 2002) e Friuli-Venezia Giulia (ordinanza n. 65 del 2002), nonché della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e di Bolzano (sentenza n. 408 del 2002), ha pertanto ritenuto che il sistema di controllo successivo garantisse forme di autonomia più ampie rispetto a quello preventivo, facendo venir meno il potere di condizionamento dell’Esecutivo sull’attività legislativa delle Regioni (sentenze n. 533 e n. 408 del 2002; nonché ordinanza n. 377 del 2002).
Ecco quindi il riferimento all’Alta Corte:
«Tanto premesso, bisogna altresì rammentare che, per quanto riguarda la Regione siciliana, l’art. 9, comma 1, della legge n. 131 del 2003, impugnato nell’odierno giudizio, sostituendo l’art. 31, comma 2, della legge n. 87 del 1953, fa espressamente salva «la particolare forma di controllo delle leggi prevista dallo statuto speciale della Regione siciliana». Detto regime di controllo delle leggi siciliane, delineato dal medesimo statuto di autonomia, era originariamente contrassegnato dai seguenti caratteri principali: competenza dell’Alta Corte per la Regione siciliana, composta di membri «nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione» (art. 24), a giudicare «sulla costituzionalità: a) delle leggi emanate dall’Assemblea regionale, b) delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato, rispetto al presente statuto ed ai fini della efficacia dei medesimi entro la Regione»
«-….Con la sentenza n. 38 del 1957, in base al principio dell’unità della giurisdizione costituzionale, questa Corte ha ritenuto assorbite nella propria competenza a giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi, statali e regionali, le competenze per l’innanzi esercitate sulle medesime materie dall’Alta Corte, relativamente ai rapporti tra lo Stato e la Regione siciliana». Questa è proprio la famosa sentenza con la quale, secondo Giuseppe Alessi, come abbiamo già detto, l’Alta corte venne «sepolta viva».
E ancora:
«….Da quanto detto segue che il peculiare controllo di costituzionalità delle leggi dello statuto di autonomia della Regione siciliana – strutturalmente preventivo – è caratterizzato da un minor grado di garanzia dell’autonomia rispetto a quello previsto dall’art. 127 Cost. Al riguardo, questa Corte ha infatti affermato che «la soppressione del meccanismo di controllo preventivo delle leggi regionali, in quanto consente la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale […] si traduce in un ampliamento delle garanzie di autonomia» (ex plurimis, ordinanza n. 377 del 2002).
Sulla base della richiamata giurisprudenza di questa Corte, per effetto del più volte menzionato art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, deve pertanto estendersi anche alla Regione siciliana il sistema di impugnativa delle leggi regionali, previsto dal riformato art. 127 Cost., atteso che detto regime, alla stregua della summenzionata «clausola di maggior favore», configura una «forma di autonomia più ampia» rispetto al sistema di impugnazione attualmente in vigore per le leggi siciliane (sentenze n. 408 e n. 533 del 2002, nonché ordinanza n. 377 del 2002).
La Corte Costituzionale quindi «dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 31, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito dall’art. 9, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), limitatamente alle parole «Ferma restando la particolare forma di controllo delle leggi prevista dallo statuto speciale della Regione siciliana».
Così è deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2014.
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