«Seppelliamoli, questi nostri morti». Inizia così la preghiera postata sui social da Claudio Fava. Un’orazione, quella del presidente della commissione regionale Antimafia, nonché figlio del giornalista Pippo Fava ucciso dalla mafia, che non ha mancato di suscitare qualche polemica, specie perché giunte all’antivigilia del 19 luglio, giorno in cui ricade il 28esimo anniversario della strage di via D’Amelio, dove persero la vita per mano mafiosa il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano,Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina.
«Liberaci, Signore, da preghiere messe in suffragio commemorazioni navi della legalità – scrive Fava – Liberaci dalle interviste ai parenti delle vittime (come se gli altri fossero solo forestieri). Liberaci dalle parole false della nostra consolazione: eroi legalità antimafia servitori dello Stato. Liberaci dagli scortati che piangono davanti alle telecamere. Liberaci dall’antimafia stampata sui biglietti da visita (giornalisti antimafiosi, sindaci antimafiosi, giudici antimafiosi). Seppelliamo i morti, una volta per tutte. E togliamoci il lutto, per piacere. E affrontiamo la vita». Una provocazione, forse, sicuramente una voglia di andare oltre le parate e le celebrazioni di facciata, con un probabile riferimento, magari, anche a tutte le personalità che un giorno partecipano a una commemorazione e quello dopo finiscono nei fascicoli della commissione che proprio Fava presiede.
«Sono parole assolutamente inopportune e dette in un momento sbagliato – commenta a MeridioNews Salvatore Borsellino, fratello di Paolo – Se avesse detto queste parole alla vigilia dell’assassinio del padre avrei potuto capire, perché magari crede che su quel delitto siano state fatte giustizia e verità. Giustizia e verità che mancano per la strage di via D’Amelio». E sul finale dell’orazione di Fava, che conclude dicendo: «Seppelliamoli, questi morti. Sono sicuro che Paolo Borsellino, e tutti gli altri, lo apprezzeranno», il fratello del giudice chiosa: «Noi i nostri morti non li possiamo seppellire, solo quando ci saranno giustizia e verità. Potrò seppellire mio fratello soltanto quando avrò tra le mani quell’agenda rossa che gli è stata sottratta al momento della morte».
Una morte sulla quale ha indagato anche la commissione regionale Antimafia, che nel corso delle sue audizioni ha tuttavia scelto di non ascoltare proprio Salvatore Borsellino. Un episodio, questo, che già nel corso delle celebrazioni per il 19 luglio dell’anno scorso aveva reso aspro il dialogo tra Fava e Borsellino, innescando una polemica che aveva coinvolto anche il legale delle Agende rosse e un collaboratore di Fava, Vittorio Bertone, figlio del magistrato Amedeo Bertone, procuratore capo di Caltalissetta. Una procura, quella guidata da Bertone, che ha sostenuto l’accusa nei processi sull’uccisione di Paolo Borsellino, l’ultimo dei quali, il Borsellino Quater, si è concluso con le condanne di boss e falsi pentiti, gettando le basi per una quinta fase processuale. «Claudio Fava – fanno sapere dallo staff del presidente della commissione regionale Antimafia – in realtà ha già detto le stesse identiche cose in occasione dell’anniversario dell’uccisione di suo padre. Non c’è nessuna novità nelle sue parole. Se qualcuno ci legge un messaggio contro la memoria e le commemorazioni sbaglia».
Riguardo alle celebrazioni, invece, è inevitabile che risentiranno dell’emergenza sanitaria, che seppur non ai livelli del 23 maggio, per l’anniversario della strage di Capaci, impone comunque regole inderogabili. «Abbiamo compresso in un solo giorno quello che di solito facevamo in tre giorni – dice ancora Salvatore Borsellino – ma ci sarà in ogni caso il presidio in via D’amelio. Non è una commemorazione, facciamo memoria, come lo facciamo ogni giorno dell’anno combattendo per la verità e la giustizia sul fronte della casa d’accoglienza, che sorge dove c’era la nostra vecchia farmacia, sul fronte dei processi e delle centinaia degli incontri con i giovani, che molto mi mancano dopo la sospensione causa Covid. Anche se – conclude – giorno 19 le ferite bruciano e sanguinano più degli altri giorni».
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