Non è stata veloce solo l’occupazione. Anche le indagini a carico di 16 persone identificate a dicembre 2013 all’interno dell’ex collegio dei Gesuiti di via Crociferi 17 sono state rapidissime. Adesso, però, a più di due anni dall’ingresso del collettivo Aleph nel palazzo settecentesco, il procedimento giudiziario a carico degli ex occupanti si ferma. Accusati di occupazione abusiva di edificio e interruzione di pubblico servizio dai magistrati Giuseppe Toscano ed Enzo Serpotta, i 16 giovani hanno fatto in tempo a presentarsi davanti alla giudice Eliana Trapasso per vedere l’incartamento tornare indietro nelle mani della procura. Perché per i reati contestati sarebbe stato necessario passare dalla fase dell’udienza preliminare, mentre i pm avevano disposto direttamente la citazione in giudizio. «Finire in aula due anni dopo un fatto è nella norma dei tempi della giustizia – afferma l’avvocato Goffredo D’Antona, che difende sette dei 16 accusati – Sorprende, invece, la velocità con le quali le indagini sono state chiuse. Erano i primi giorni di gennaio 2014, sono durate meno di un mese».
È il 23 novembre 2013 quando il collettivo Aleph entra nella struttura abbandonata. Un edificio patrimonio dell’Unesco, che dal 1968 al 2009 viene dato in gestione all’istituto d’arte di Catania. Poi gli studenti vengono mandati via «per ragioni di pubblica incolumità» legate alle condizioni dell’ex collegio, per il quale sarebbero dovuti iniziare i lavori di consolidamento. Il limbo dell’attesa, però, dura quattro anni. «Lasceremo il posto soltanto agli operai che entreranno per ristrutturarlo», dicono gli occupanti dell’Aleph all’indomani del loro insediamento. Ma non fanno i conti con le denunce della soprintendenza ai Beni culturali e della Biblioteca regionale universitaria. La soprintendenza poiché responsabile dello storico palazzo etneo; la biblioteca, invece, perché all’interno dell’ex collegio dei Gesuiti si trova un magazzino. Lo sgombero avviene la mattina del 17 dicembre, a neanche trenta giorni dall’inizio dell’occupazione.
«L’edificio in questione è stato dichiarato inagibile e mancano le condizioni minime per la sicurezza delle persone che attualmente si trovano all’interno», denuncia in quei giorni la soprintendente Fulvia Caffo. Aggiungendo che per gennaio 2014 è fissata la gara d’appalto per la messa in sicurezza e il parziale restauro dell’edificio. «Tale motivo rende assolutamente necessario periodicamente l’accesso ai locali, per procedere ai sopralluoghi richiesti dalle ditte», dice Caffo. Alle sue parole fanno eco quelle di Maria Grazia Patanè, responsabile della Biblioteca regionale universitaria. Al piano terra dell’ex collegio dei Gesuiti si trova un magazzino con circa 50mila volumi. Che può essere consultato su prenotazione ogni lunedì, ma solo dopo che i libri vengono prelevati e trasferiti al Palazzo centrale di piazza Università. È a questo che farebbe riferimento l’accusa di interruzione di pubblico servizio: al fatto che la biblioteca abbia «dovuto sospendere il servizio di pubblica lettura nonché quello di pulizia dei locali e dei testi, poiché l’accesso al deposito è impedito dagli occupanti del collettivo Aleph».
A due anni da quei giorni, adesso il procedimento arriva nelle aule giudiziarie e viene subito rimandato ai procuratori Serpotta e Toscano. Dei sedici accusati – difesi dagli avvocati Goffredo D’Antona e Pierpaolo Montalto – alcuni al momento dell’occupazione erano appena maggiorenni. Dopo il caso del collegio dei Gesuiti, però, l’attività del collettivo non si è fermata. Ed è proseguita sempre all’interno di beni cittadini abbandonati. Prima a palazzo Ursino Recupero, in via Gallo, a pochi metri da villa Cerami. Poi in un vecchio archivio dell’Asp di Catania, in via Montevergine. Lì nasce – e opera tutt’ora – il centro sociale occupato Liotru. Qualche settimana fa, invece, l’Aleph ha supportato l’occupazione di un’altra palazzina, stavolta lontana dal quartiere Antico corso. Si tratta di un immobile di via Calatabiano, nel rione Borgo, all’interno del quale si sono stabiliti sei nuclei familiari, per un totale di una trentina di persone.
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