Un’organizzazione criminale, guidata dalle cosche ioniche della ‘ndrangheta, capace di trattare direttamente con i narcos colombiani e far arrivare trecento chili di droga al porto di Livorno. E nel doppio ruolo di finanziatore e acquirente compare anche un pediatra che esercita tra Messina e la Calabria. Si tratta di Pietro Bonaventura Zavettieri, di 55 anni, detto Bono. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio, il professionista avrebbe anche ospitato alcuni trafficanti sudamericani. Zavettieri non è uno sconosciuto. Ha una condanna definitiva per stupefacenti e nel 2000 fu coinvolto nell’operazione Panta Rei che portò a galla le presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta dentro l’Università di Messina. Alla fine, dopo 12 anni, la sua posizione fu prescritta.
L’inchiesta odierna della Dda di Catanzaro mette un altro tassello nella fitta rete di rapporti tra ‘ndrangheta e cartelli colombiani. Un asse che consente alla criminalità organizzata calabrese di avere il monopolio sull’importazione della cocaina in Italia. Come ha dimostrato anche l’operazione Stammer, dello scorso gennaio, in cui emerge una vera e propria pista siciliana della cocaina che arriva in Calabria dal Sudamerica. Stavolta a essere colpite dall’azione della Guardia di Finanza sono le famiglie Bellocco di Rosarno, Molè-Piromalli di Gioia Tauro, Avignone di Taurianova e Paviglianiti, operante nell’area del Reggino.
I militari, tre giorni fa, hanno sequestrato un imponente carico di droga al porto di Livorno: 300 chili di cocaina e circa 17 chili di codeina, un alcaloide dell’oppio. È stata ricostruita anche un’ulteriore importazione di narcotico da 57 chilogrammi di cocaina, oltre ai numerosi altri tentativi di importazione non andati a buon fine. Le indagini, inoltre, hanno provato come il gruppo sarebbe riuscito a ottenere lauti guadagni anche dalla compravendita di importanti partite di marijuana e hashish.
Sono 18 le persone arrestate tra Calabria e Toscana. Uno, il medico pediatra, è stato fermato a Messina. Originario di Melito Porto Salvo, il medico opera tra Locri e la città siciliana. «Ha provato più volte a importare droga usando i contatti diretti con i colombiani – spiega il colonnello della Finanza Carmine Virno – e appoggiandosi a soggetti appartenenti alle cosche ioniche». Gli inquirenti lo definiscono «finanziatore» e «diplomatico nei confronti di trafficanti colombiani ospitati dalla ‘ndrangheta». Dovrà rispondere, come gli altri indagati, di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti.
Non è la prima volta che Pietro Bonaventura Zavettieri viene coinvolto in fatti di cronaca riguardanti le ‘ndrine. Era già finito in una delle inchieste più clamorose degli ultimi decenni a Messina: quella che, nell’ottobre del 2000, provò a fare luce sulla presenza della ‘ndrangheta, in particolare di una cosiddetta ‘ndrina messinese, all’interno dell’ateneo peloritano. L’operazione Panta Rei portò a 37 provvedimenti cautelari, raddoppiati un anno dopo con la seconda tranche dell’inchiesta. Tra questi c’era anche il medico, che all’epoca dei fatti contestati era solo uno studente dell’università.
Zavettieri fu condannato in primo grado a sei anni di carcere, ridotti a quattro anni e cinque mesi in Appello. Proprio la sentenza di secondo grado certificava la presenza dentro l’ateneo siciliano di «un’associazione di stampo mafioso nel periodo che va dal 1984 al maggio 2001, ad appannaggio delle cosche della fascia ionica della provincia di Reggio Calabria, in particolare delle ‘ndrine di Africo». Anni in cui si registrano anche due omicidi di docenti universitari. Scopo dell’associazione sarebbe stato «ottenere il superamento di esami e il conseguimento di titoli accademici mediante l’intimidazione e la connivenza dei professori, nonché quello di realizzare illeciti guadagni attraverso l’esercizio e il controllo di attività economiche, grazie all’inserimento di propri adepti negli organi amministrativi e decisionali dell’Università».
In particolare gli inquirenti avevano individuato, tra gli studenti, alcuni gruppi, definiti goliardie (comunità caratterizzate da spirito cameratesco), guidate da soggetti appartenenti a famiglie ‘ndranghetiste. Uno dei principali goliardi era proprio Pietro Bonaventura Zavettieri. Suo zio, Sebastiano Zavettieri, ritenuto dagli inquirenti un capomafia, fu ucciso nella faida di Roghudi. A detta dell’accusa, queste goliardie avrebbero ricreato, all’interno dell’università di Messina, prassi mafiose. Contestazioni che resistono fino al processo di Appello. Nel 2011 la Cassazione annulla la sentenza di secondo grado, non riconosce il carattere dell’intimidazione nei vari episodi contestati e viene meno l’aggravante mafiosa all’associazione a delinquere. Un anno dopo per Zavettieri scatta la prescrizione. Il suo nome scompare, fino al nuovo arresto di oggi.
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