«Volevo fare due regali, un piumone a uno e un piumone all’altro. Anche per Capodanno non ci dobbiamo fermare, i piumoni mi servono sempre». Anche ad Agrigento a dicembre fa freddo e sulle bancarelle del mercato rionale la merce invernale si vende bene. Ma non solo quella. In questo caso – stando a quanto ricostruito dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo nell’operazione Lampedusa che ha portato all’esecuzione di 15 misure cautelari – «i piumoni» non sarebbero fatti di piume d’oca, ma di hashish, marijuana e cocaina. La droga avrebbe viaggiato sull’asse Palermo-Agrigento grazie ad alcuni venditori ambulanti, corrieri che per lavoro, alle prime luci dell’alba, dal capoluogo raggiungono i mercatini di Agrigento, Ribera, Erice e altri paesi. E tra un paio di mutande, lenzuola e qualche calzino avrebbero fatto affari d’oro con lo spaccio.
A reggere il comando del gruppo sarebbero i cugini palermitani Salvatore e Giuseppe Bronte, secondo gli inquirenti a capo di una vera e propria associazione criminale che avrebbe comprato le partite di droga in Calabria da soggetti vicini alla ‘ndrangheta e l’avrebbe rivenduta sul territorio siciliano. Grazie proprio alla rete di corrieri. Gli stupefacenti – chiamati in codice «i piumoni», «i lenzuolini», «gli strofinacci», «i mazzi di carte», «la ricotta» o «il cioccolato» – raggiungevano così sicure anche destinazioni parecchio lontane. Come Lampedusa, dove a riceverli sarebbe stato Salvatore Capraro, trasferito sull’isola nell’estate del 2016 dopo l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, visto che già in quel momento era sottoposto all’obbligo di dimora. Per arrivare sull’isola delle Pelagie, hashish e cocaina venivano nascosti nei camion in partenza da Porto Empedocle.
La biancheria sopra e la droga sotto le bancarelle. Sarebbe stato un affare di famiglia. I Bronte si sarebbero affidati a Gaetano Rizzo, pure lui arrestato venerdì scorso. Sarebbe stato lui a tenere i contatti con gli agrigentini: oltre a Capraro anche Davide Licata, Calogero Vignera e Angelo Cardella. Per far arrivare il prodotto a destinazione avrebbe contato sul fratello Emanuele Rizzo e sui cognati Francesco Portanova e Ivan La Spisa, tutti impegnati come corrieri ambulanti.
Gli affari sono talmente intrecciati che anche i diretti interessati a volte si confondono. «Quanto hai incassato ieri?», chiede Gaetano Rizzo al cognato La Spisa mentre è al mercato di Agrigento. «Centonovanta euro». «All’ultimo si è ripreso, vero?». «Dalle undici alle undici e mezzo». «Ah… – torna a chiedere Rizzo per la seconda volta, riferendosi invece al recupero di un credito per la droga – e quanto hai incassato?». «Di nuovo? Centonovanta…». «No, dico, quanto hai incassato ora?». Ed ecco che La Spisa capisce e spiega: «No, ci sono andato ma non c’era, ora ci sto andando di nuovo».
Incassi quotidiani non di poco conto. A casa di Emanuele Rizzo – fermato dopo un lungo inseguimento alle prime luci dell’alba a Palermo – vengono trovati 192mila euro in contanti, nascosti dentro una scarpiera dell’armadio.
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