Il nome è già un programma:
La mafia se siente a la mesa (la mafia si siede a tavola). Ma questo si sapeva da tempo. Adesso, in occasione del 15esimo anniversario, la catena di ristoranti diffusa con successo in tutta la Spagna aggiunge un tassello al suo discutibile marketing. Insieme a Coca Cola, decide di premiare i clienti con un viaggio «nell’Italia del padrino», cioè la Sicilia. «Siracusa, Palermo, l’Etna, Cefalù, la Valle dei Templi e tutto quello che c’è attorno dove è nata la leggenda de Il Padrino ti stanno aspettando», recita la pubblicità. Ogni settimana di novembre chi acquista una Coca Cola nei ristoranti della catena, partecipa al sorteggio di un viaggio di tre notti nell’Isola.
A sollevare il caso è stata
l’associazione Cosa Vostra, impegnata nella lotta all’illegalità nelle regioni del Nord Est dell’Italia. «Se questa non è apologia mafiosa, non sappiamo cos’altro potrebbe essere – spiega il fondatore Francesco Trotta – Non c’è solo un riferimento, c’è un esplicito binomio tra la nostra isola e la criminalità organizzata. La mafia è uno dei brand italiani più conosciuti al mondo, un nome che fa vendere e guadagnare. E che contribuisce a rendere il nostro Paese schiavo dei suoi stereotipi». Anche AddioPizzo travel, che a Palermo organizza i tour sui luoghi dell’antimafia, non ci sta: «Chi lavora in questo campo deve farlo con profondità, spiegando le differenze, non avvalorando i cliché».
Lo scorso
febbraio, Claudio Fava, vicepresidente della commissione nazionale antimafia, aveva presentato un’interrogazione parlamentare chiedendo un intervento sulle autorità spagnole per far cambiare nome alla catena. Il governo italiano si è attivato, ma da Madrid la risposta è stata netta: «Non viene ravvisato un collegamento diretto tra il termine mafia e la Repubblica italiana». «Mentre all’inizio di quest’anno – sottolinea Marta Bigolin, laureanda all’università di Milano e cofondatrice dell’associazione Cosa Vostra – non hanno (gli spagnoli, i burocrati europei?) ravveduto alcun nesso tra la parola mafia e l’Italia. Cosa assurda visto i prodotti che vendono nel locale. Ora invece il nesso lo danno loro, invitando a viaggiare nella terra de Il padrino». Bigolin, che studia proprio Teoria della comunicazione, aggiunge: «Me la prendo con i creativi spagnoli che hanno sfruttato con un insight così forte un brand che nessuno in Italia vorrebbe veder nascere ed affermarsi. La trovo una grande pecca, frutto di un’ignoranza legata al solo interesse di ciò che accade dentro ai confini nazionali».
E sulla difficoltà di smontare
i preconcetti diffusi fuori dall’Italia sul rapporto tra mafia e siciliani punta anche AddioPizzo Travel. «Noi proponiamo l’opposto di questo approccio – spiega Francesca Vannini – con il tour sui luoghi dell’antimafia e non della mafia. La clientela che si rivolge a noi è già in qualche modo preselezionata perché conosce la nostra associazione, eppure troviamo tanti cliché, come la convinzione che incontrare un mafioso in Sicilia sia facile. Sta a noi spiegare la differenza tra la microcriminalità, il folklore e la criminalità organizzata. Chi non lo fa e sceglie di dire quello che vuole la gente, compie una scelta di deresponsabilizzazione». Per lo stesso motivo l’associazione ha recentemente preso posizione contro la decisione di un tour operator statunitense di usare Angelo Provenzano, figlio del capomafia Bernardo, come testimonial per i turisti. E ha firmato l’appello di Radio Cento Passi per rimuovere i gadget, soprattutto calamite e magliette, che inneggiano a Il Padrino o al mafioso. «È come se andassimo nel Nord della Spagna e chiedessimo la maglietta dell’Eta – conclude Vannini -. Che ci siano tour operator stranieri che operano così è sicuramente una colpa, ma anche loro sono figli di preconcetti, che lo facciano col supporto di siciliani fa ancora più male».
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