Claudio Fava, il candidato senza partito «Dividere l’elettorato? Io e Crocetta diversi»

«Amici che ascolto e che stimo mi hanno chiesto di candidarmi per la Sicilia, senza passare dagli apparati di partito. Domani dirò di sì». Con un tweet l’otto giugno Claudio Fava ha annunciato la sua candidatura alla poltrona di governatore della Sicilia. Fin dalla notizia delle elezioni, data dal presidente uscente Raffaele Lombardo qualche settimana prima, si è intuito che non si prospettano mesi tranquilli. Alla candidatura di Fava, che si presenta con la lista Libera Sicilia, si è affiancato quasi da subito – non senza polemiche – l’ex sindaco di Gela ed eurodeputato Rosario Crocetta.

Le elezioni del 28 e 29 ottobre sono ancora del tutto incerte, con l’appoggio del Pd al governo Lombardo ancora fresco nella memoria degli elettori e le recenti amministrative che hanno lanciato segnali non proprio rassicuranti ai coordinatori di Pdl e Mpa. Se per certi versi sarebbe il caso di procedere cautamente, il coordinatore della segreteria nazionale di Sinistra Ecologia Libertà rompe gli indugi: «È il tempo di gesti, non di attesa».

Quali sono i motivi che hanno portato a questa candidatura?
«Il motivo è quasi inevitabile, se guardiamo cosa è avvenuto nella politica in Sicilia. Queste elezioni regionali differiscono da tutte le precedenti: per la prima volta il sistema di potere attraversa una fase di forte debolezza. La destra sta franando, Lombardo – al netto delle vicende giudiziarie – ha avuto un giudizio elettorale molto duro alle ultime amministrative. C’è un’obiettiva debolezza di questo sistema di potere nella sua rappresentazione politica e una domanda per un movimento che nasca dalla Sicilia e si rivolga ad essa, senza aspettare legittimazioni da parte dei partiti».

Ma parte anche da altro.
«La richiesta rivolta da amici, persone che stimo e ascolto. Una cosa che mi ha caricato di responsabilità. Difficile dire di no a persone come Gustavo Zagrebelsky (ex presidente della Corte Costituzionale, ndr) o Pina Grassi (vedova dell’imprenditore Libero, ucciso nel 1991). Ho accettato di metterci la faccia, accettando di buon grado di non passare attraverso le porte strette degli apparati politici, di offrire la mia candidatura non alle segreterie, ma ai siciliani».

I partiti sono esclusi?
«Se si riconosceranno nel profilo di questo progetto di governo, ci staranno. Ma non passa attraverso loro. Non è contro i partiti, ma prescinde da loro. Anche perché i partiti siciliani sono affannati, logorati, avviliti da una lunga stagione o di pura testimonianza o di sottogoverno che li ha resi scarsamente credibili».

Quindi niente primarie?
«Le primarie si possono fare se c’è un candidato che dice “io con Lombardo non ho nulla a che vedere, sono una proposta politica di assoluta alternativa, voglio ragionare con i siciliani e non mettermi a disposizione delle nomenclature del partito”».

E Rosario Crocetta non seguirebbe un percorso del genere?
«Crocetta – persona che rispetto – ha detto che sarebbe disposto a fare le primarie, ma nella sua prima intervista mi ha preoccupato la sua apertura all’Udc e a Gianfranco Miccichè. E poi il fatto che due anni fa fosse tra i più accesi sostenitori dell’accordo con Lombardo. La Sicilia è una terra che ha bisogno di recuperare una sua purezza politica. Non la si può incrociare subito con la ragion di Stato, per cui si volta pagina, ma non si rinunciano ai voti di Miccichè, dell’Mpa e del partito di Cuffaro».

Come dovrebbero essere, dunque, queste primarie?
«Dovrebbero essere un taglio netto, impietoso, con quello che considero il punto più basso della stagione politica della Sicilia, il governo Lombardo. Altrimenti sarebbero una recita. Che mi frega dei voti che mi porta con il suo finto autonomismo Miccichè, uomo di punta di Berlusconi nella sua peggiore operazione siciliana? A cosa può servirmi, nei conti a tavolino, l’Udc, che resta il partito di Totò Cuffaro?».

Esclude anche un eventuale appoggio del Partito democratico?
«Io non escludo. È il Pd che deve decidere se includere o escludere se stesso in questa sfida. Io mi candido a prescindere dai partiti, non contro. Si devono riconoscere in queste condizioni, che non pongo io, ma i siciliani. Non sono disposto ad accettare per poi decidere di mediare verso il basso».

Non c’è il rischio di dividere l’elettorato di sinistra?
«Non posso impedire a Crocetta di candidarsi, ma nessuno può chiedermi di non candidarmi in nome di una generica unità delle forze del centrosinistra. Siamo, però, davanti a due ipotesi di governo diverse. Crocetta e Fava potranno rivolgersi a un elettorato uguale, ma con idee diverse anche nel modo concreto in cui costruire questa alternativa in Sicilia. La gente vuole sapere cosa vogliamo fare, con chi, di quali pezzi del passato ci vogliamo liberare».

Nel 2008 disse che la sinistra era «vecchia, auto-referenziale, litigiosa e in alcuni casi insopportabile». È ancora così?
«Sì. Lo è stato soprattutto in quella stagione, in cui uscimmo con una sconfitta epocale. Penso che la sinistra debba governare, ma dentro categorie politiche chiare, nette. Altrimenti la funzione di governo è mediata verso il basso, diventa rinuncia, rassegnazione, reticenza. Un po’ come sta avvenendo con il Pd nel governo Monti, costretto a votare la più devastante riforma del lavoro che nemmeno Berlusconi avrebbe osato presentare. Che senso ha governare in queste condizioni?».

Qual è il suo programma politico.
«Il programma per la prima volta è costruito in base alle esigenze e alle richieste dei siciliani. Attraverso la piattaforma internet è possibile costruire un’intelaiatura di questo progetto con i siciliani per poi discuterla con loro durante una serie di assemblee cittadine».

Quali sono i temi principali?
«Il primo punto è la trasparenza amministrativa: fare in modo che la politica torni a essere luogo al servizio degli interessi e dei diritti dei siciliani. Il diritto alla salute, passato attraverso la necessità di garantire privilegi e sopravvivenza al circuito privato. La sicurezza di un territorio che frana, crolla. L’utilizzo delle risorse – concrete e utili – messe a disposizione dall’Unione europea. La battaglia contro gli sprechi: abbiamo dei consiglieri regionali pomposamente chiamati onorevoli, che vengono pagati quanto i senatori e godono degli stessi diritti. Non c’è regione, tranne la Lombardia, che ha speso in consulenze quanto la Sicilia. Voglio costruire con i siciliani una misura concreta di governo che riguardi il miglioramento delle loro vite».

Qualcuno ha detto che si tratta di candidature premature, che è ancora presto per iniziare la campagna elettorale.
«Le candidature siciliane non nascono trenta giorni prima, ma vent’anni prima del voto di ottobre. Nascono in tutto quello che è stato fatto e in tutto quello che non è stato fatto, nelle battaglie civili e politiche, dal rapporto costruito con la gente. Penso che la candidatura che mi è stata richiesta è legata alle cose successe in Sicilia negli ultimi vent’anni, a ciò che ha prodotto il sistema di potere. Non s’improvvisa la memoria dei siciliani: hanno un atteggiamento più pragmatico, una memoria più robusta. Non è una piazza che si conquista con l’urlo, la bestemmia o la provocazione».

Qualcuno potrebbe criticare il suo ritorno avvenuto proprio al momento della campagna elettorale dopo i tre anni vissuti a Roma, lontano da Catania e dalla Sicilia.
«No, è un mio titolo di merito. Penso che la politica non sia una professione per cui se si è fuori da un parlamento si debba stare in anticamera, in attesa di ricevere un posto di sottogoverno. Io ho un mestiere, sono giornalista, faccio lo scrittore. Mi sembra una cosa molto più civile che quando non si è impegnati in un’istituzione, a rappresentare con un mandato, si deve poter avere un mestiere, una storia a prescindere dall’esercizio quotidiano della politica. Questo permette di poter tornare a impegnarsi in prima persona. Io sono orgoglioso di non aver vissuto solo di politica in questi anni».

Le elezioni comunali del 2008 furono una vera batosta: ottenne 173 preferenze. Vista quella sconfitta pesante, proprio nella sua città, come pensa di poter portare dalla sua parte gli stessi elettori?
«Nelle comunali prendemmo 173 voti, ma l’anno dopo alle europee in Sicilia arrivammo al tre per cento. Tre anni prima abbiamo preso 230mila preferenze».

Non conta quindi sulla sua città, ma sul resto della regione?
«No, Catania è la città che mi ha accompagnato con più convinzione e più fedeltà nei risultati elettorali nelle elezioni europee, quando c’è un confronto di opinioni più diffuso. Se si vuole utilizzare in modo un po’ furbo quel passaggio elettorale nel quale la lista prese lo 0,8 per cento, bene. Ma vorrei considerare il mio rapporto con la città non inchiodato a quel particolare risultato, ma ai 15 anni precedenti e a quelli successivi».

Tra i possibili candidati, uno dei nomi che si fa con insistenza è quello di un altro catanese, Nello Musumeci.
«È un buon candidato, una persona per bene. Credo davvero che questa campagna può rappresentare un punto di svolta per la Sicilia nell’essere costruita non sugli altri candidati, ma sui siciliani, costruendo il proprio rapporto di coinvolgimento e passione con la Sicilia. Rosario Crocetta, Nello Musumeci, Fabio Granata… Sono tutte persone benvenute».

Con Rosario Crocetta condividete l’esperienza come eurodeputati. Cosa le ha lasciato quel mandato?
«Il senso di responsabilità verso una comunità che non si chiama Sicilia, ma Europa. Questo supplemento di responsabilità può far capire che la politica può diventare la cura della vita dei cittadini, anche di quelli fuori dal proprio collegio».

Un giudizio sul governo Lombardo. Tutto da buttare o c’è qualcosa che si salva?
«Ci sono stati e ci sono assessori, come Mario Centorrino, che sono sicuro hanno lavorato in buona fede. Non c’è la buona fede in Raffaele Lombardo, non c’è mai stata. Gli ho sentito usare le parole e il loro contrario in base alle opportunità, alle convenienze. Gli ho sentito lodare le virtù della Padania alleandosi con la Lega in parlamento, e il giorno dopo rintanarsi nella mitologia del regno delle due Sicilie. La sua unica cifra si chiama consenso, potere».

[Foto di Sinistra Ecologia e Libertà]

Carmen Valisano

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