Pensavano che la mamma stesse dormendo. Spiegare la morte a due bambine di 11 e 13 anni non è cosa semplice. Soprattutto se ad andarsene via è una madre di appena 36 anni, che muore in seguito a un’operazione all’utero che dovrebbe ormai essere routine. Lei è Grazia Sinagra e per quel fatidico intervento di due settimane fa ha aspettato ben otto mesi, fra i tempi dell’ospedale e le urgenze dell’ultimo minuto. Rimane sotto ai ferri per tutta la mattina, fino al primo pomeriggio. Per l’equipe di medici che l’ha operata è stato un successo. Solo ché, il tempo di riportarla in camera, le si ferma il cuore. Respirazione e massaggio cardiaco durano per mezzora. Sforzi premiati: lei rimane in vita, ma non riprende conoscenza. E da quel momento sarà una settimana di coma trascorsa nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Civico.
«Io non so cosa sia successo dentro quella sala operatoria e non punto il dito contro nessuno, non voglio un colpevole a tutti i costi. Io voglio una spiegazione, voglio la verità». Sono rimaste solo le domande, a Giuseppe Crivello. E due figlie a cui aggrapparsi. «Ho soltanto loro, da solo non so che fine avrei fatto a quest’ora», si sfoga, prima di ripercorrere l’agonia della moglie. «Non ce lo sappiamo spiegare». È questa la frase che i medici del Civico avrebbero detto fino alla fine alla famiglia di Grazia Sinagra. Una frase che il marito continua a sentire ancora adesso, «non sanno come e perché sia avvenuto l’arresto cardiaco – dice -. Com’è possibile?». Questa storia, però, parte da più lontano. Da uno strano mal di pancia e da misteriose gocce di sangue nell’urina. E siamo a marzo 2017. La donna corre al pronto soccorso e la diagnosi è presto detta: endometriosi.
La visita ginecologica e gli esami approfonditi confermano la diagnosi. La risonanza e un ulteriore consulto non cambiano quanto già scoperto, anzi, aggiungono particolari allarmanti: entrambe le ovaie sono compromesse. In una c’è una massa di sette centimentri, nell’altra di quattro. Ci sono anche delle aderenze, un nodulo al retto e un fibroma di circa cinque centimetri. La famiglia è preoccupata e, dietro consiglio, si affida a un esperto di fama mondiale, il medico migliore su piazza per intervenire in questo tipo di circostanze e che, guarda caso, lavora proprio a Palermo. È il primario del reparto di Ginecologia oncologica del Civico. Il medico visita Grazia e la diagnosi è sempre quella. Non resta che metterla in lista, «ci aveva detto che sarebbero passati al massimo due mesi», racconta il marito della donna. Ma i mesi si moltiplicano e diventano otto.
«Lei intanto stava malissimo, quando aveva il ciclo si riduceva in condizioni pietose – continua l’uomo -. Non faceva che prendere medicine, bustine di ogni tipo e punture a mai finire che le facevo io. Intanto, nessuno ci chiamava». Più volte Giuseppe Crivello va in ospedale per chiedere spiegazioni e per sollecitare il primario a rispettare la promessa di un immediato intervento. Vengono fissate date, poi rimandate. «Intanto iniziano i problemi a urinare, poi a un rene e poco dopo anche all’altro». L’intera estate si trascina via così. Fino al 26 agosto, il giorno della visita anestesiologica. Che, in realtà, si sarebbe rivelata solo un incontro per far compilare alla donna una serie di documenti necessari per l’anamnesi completa.
Ma nessun intervento ancora: «Servono esami aggiornati», dicono dall’ospedale. Quelli fatti mesi prima ormai non vanno più bene. Ripetono tutto, ma la chiamata tarda ancora ad arrivare. Serve un altro incontro col primario, a cui segue una nuova attesa. Grazia intanto ha un crollo psicologico. Il marito torna a parlare col primario, questa volta tira in ballo un avvocato, spiega che sa per certo di avere tutto il diritto di insistere in quel modo per avere l’intervento. Viene fissato tutto: il 25 ottobre gli esami di rito e il 26 l’intervento. Ma salta tutto per via di un’urgenza dell’ultimo momento. Solo pochi giorni dopo ecco la data definitiva. Il 31 ottobre. «Quando ripenso a tutto quanto, ho come la sensazione che l’abbiano operata solo per le mie pressioni».
È il momento di tirare le somme. «Nella peggiore delle ipotesi, avrebbe potuto portare un sacchetto, permanente o meno, o perdere le ovaie. Ma non morire, questo non lo aveva messo in conto nessuno», dice il marito. Grazia si avvia verso la sala operatoria alle 7.45. «Quando il primario è uscito, ci ha detto “Era messa malissimo, capisco le vostre pressioni, avrà sofferto molto”», racconta il marito. Tuttavia, a fine intervento tutti sembrano soddisfatti. Poi però l’arresto cardiaco. «L’abbiamo presa per i capelli, resta solo da pregare», dicono i medici. «Sono rimasto lì dentro a piangere per una settimana, ma mia moglie ormai se n’era andata da tempo. Doveva essere un intervento di routine, tra le mani del migliore su piazza. E invece Grazia è morta e nessuno ora sa dirmi perché».
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