Cittadella, ai laboratori Unict la storia si ripete Sepolte da anni analisi ambientali a Chimica

Cinque campagne di indagine – tra prelievi di solidi e liquidi, carotaggi e un esame dell’aria – effettuate tra l’ottobre 2009 e l’ottobre 2010. Analisi nelle quali la maggior parte dei valori limite fissati dalla legge di elementi come il mercurio, il cadmio, l’arsenico erano ampiamente superati e che mostrano anche diverse rotture nell’impianto fognario. Una situazione che avrebbe dovuto portare a una messa in sicurezza d’emergenza, ma che si è risolta con un nulla di fatto. Accade alla Cittadella universitaria, qualche metro più a valle dei tristemente famosi laboratori dei veleni di Farmacia, nel corpo D dell’edificio 1 che tutt’oggi ospita il dipartimento di Scienze chimiche dell’Università degli studi di Catania. L’ente, sollecitato da CTzen, sta preparando una risposta articolata alle nostre domande.

La storia
È il 18 ottobre di quattro anni fa quando il Comune di Catania segnala all’’Arpa e alla Regione che nella struttura universitaria si ha una situazione ambientale con una «contaminazione pregressa del sito, probabilmente determinata dallo stato di fatto del sistema fognario». Il Comune chiede dunque all’’Ateneo una serie di documenti: progetto di indagine, progetto di messa a norma delle reti fognarie e le indagini preliminari nell’’area dell’edificio 1. E, inoltre, la «documentazione attestante il corretto smaltimento dei rifiuti prodotti nei vari laboratori ubicati all’’interno degli edifici 1 e 2 (rispettivamente Chimica e Farmacia,
ndr)». Il 25 ottobre palazzo Centrale risponde consegnando il progetto dal titolo «Lavori per ulteriori indagini sulle matrici ambientali di aree potenzialmente contaminate». Una relazione, redatta dagli uffici tecnici d’Ateneo, datata luglio 2010 contenente una serie di cartine che in pochi – sia tra il personale universitario che tra quello esterno – hanno avuto modo di vedere. Ma tutto ha inizio qualche anno prima, in un periodo nel quale attorno alla Cittadella gravitano sospetti e timori trasformati in realtà dall’indagine aperta dalla procura di Catania e incardinata in un processo del quale a giorni si attende la sentenza.

I legami con il caso Farmacia
Nel periodo tra il 9 e il 24 luglio 2007 inizia un lavoro di analisi effettuate dalla ditta
It group, chiamata dai vertici del dipartimento di Scienze farmaceutiche per indagare sulle problematiche dell’edificio 2. In quello che viene battezzato Pz4 (un punto esterno a ridosso dei laboratori di Farmacia) si riscontra una concentrazione di idrocarburi pesanti. Due scavi e i relativi rilievi sul terreno confermano il superamento dei valori, ma le indagini ambientali condotte dall’ente si interrompono. Tra il 2007 e il 2008 i problemi a Farmacia emergono in uno scandalo senza precedenti nella storia dell’istituzione universitaria. Un edificio di Unict viene posto sotto sequestro, si contano quelle che potrebbero essere le potenziali vittime di una condotta irregolare – sostiene la Procura di Catania – avallata e taciuta dai vertici dell’Ateneo.

Le analisi a Chimica
Si arriva al 24 ottobre 2009 quando vengono effettuate
una prima serie di analisi che insistono esclusivamente sul corpo D dell’edificio 1, quello che ospita l’ex facoltà di Scienze, il dipartimento di Chimica e tutti i laboratori sia di ricerca che di didattica e – fino a quasi un anno fa – anche il Cnr. La struttura è una delle più periferiche, a ridosso della Circonvallazione. Si indaga dopo la segnalazione di risalita di umidità da alcuni pilastri centrali; escludendo l’infiltrazione esterna, si individua la provenienza dal terreno sottostante.

Nella prima campagna quattro punti sono selezionati all’esterno dell’edificio, sette si trovano all’interno. Si registrano il
superamento di valori di benzoatracene, benzopirene, benzofluoreantene, benzoperitene (cosiddetti benzoderivati, provocano leucemie e malattie legate al sangue), mercurio e piombo (hanno un effetto tossico che si ripercuote sul sistema nervoso centrale), rame, selenio, stagno, zinco e idrocarburi pesanti. Non va meglio la conta dell’escherichia coli che supera di migliaia di volte la soglia minima imposta dalla legge.

La
seconda campagna scatta tra il 5 e il 9 novembre 2009: cinque prelievi tutti effettuati all’interno dell’edificio. Ancora una volta i valori sono alti. Alla lista si aggiungono l’arsenico (il veleno per eccellenza), il cobalto, il cadmio e cianuri liberi (molto pericolosi se a contatto con acidi). A gennaio 2010 si attesta la terza campagna, relativa alla matrice aria, che non segnala alcun superamento delle soglie minime. In primavera, ad aprile, la quarta campagna di carotaggi che scava in quattro punti all’interno della struttura. Idrocarburi leggeri, cobalto, rame, cadmio la fanno da padrone. Gli ultimi due vengono riscontrati in valori alti anche a oltre quattro metri di profondità, nell’ipotetico punto di scorrimento della falda acquifera. Il carotaggio, a differenza dei prelievi nei pozzetti, certifica che la contaminazione non è confinata all’interno di questo ma si trova anche al di fuori.

La legge in materiale ambientale impone l’allerta degli enti competenti «qualora l’indagine preliminare […] accerti l’avvenuto superamento delle concentrazione soglia di contaminazione (csc) anche per un solo parametro». Trenta giorni per consegnare il piano di caratterizzazione e sei mesi per presentare il progetto di bonifica o di messa in sicurezza e le misure ripristino ambientale. Ma nella relazione dell’Ateneo l’allarme viene quasi ridimensionato. «Si ritiene confermato che tale potenziale contaminazione abbia come probabile causa lo scarico nel sistema fognario di rifiuti liquidi speciali provenienti da attività di laboratorio – scrivono i responsabili di Unict – di cui però non è possibile determinare durata, frequenza e periodo in cui è avvenuto». Quella che potrebbe sembrare quasi una rassicurazione, dunque. Poco convincente, però.

Come testimoniato da un tecnico dell’Ateneo e redattore della relazione
durante una delle udienze del processo Farmacia, Daniele Leonardi, la calibrazione dell’impianto di aspirazione deve tenere conto del potenziale risucchio dell’aria dalle saie, il sistema originario di fognature. E lo stato dell’impianto è un altro elemento avrebbe dovuto allarmare i piani alti di palazzo Centrale. Assieme agli scavi, le indagini comprendono l’inserimento di una sorta di robot dotato di telecamera per esaminare lo stato delle saie. Nel tratto percorso i tecnici rilevano ostruzioni, collassi delle pareti, tubazioni non previste e accumuli di rifiuti. «Si è constatato che la saia è stata sfondata in diversi punti da azioni esterne. Un po’ come quando si fa un buco con un trapano», spiega nell’udienza del novembre 2012 Leonardi. La struttura – pensata dai costruttori come monoblocco, rivestita in gres porcellanato resistente agli acidi – non è integra, la contaminazione non può considerarsi confinata.

La situazione oggi
Ad aggravare il quadro contribuiscono due eventi meteorologici che hanno messo a dura prova il sistema fognario della parte terminale della cittadella.
Due allagamenti – il 27 settembre 2011 e il 21 febbraio 2013, uno precedente risale al 1985 – provocano seri danni alla struttura, tanto da rendere necessari dei lavori di costruzione di un sistema di paratie che dovrebbe proteggere il corpo D. Presumibilmente lo scenario che si evince dai dati analitici è completamente stravolto, con le sostanze rilevate diluite o forse migrate verso la falda acquifera. Impossibile non utilizzare il condizionale, dato che le carte pubbliche si fermano alla quarta indagine dell’aprile 2010. La quinta campagna, infatti, non risulta negli archivi consultabili (le informazioni ambientali non rientrano tra gli obblighi di trasparenza delle università) e non risultano altri interventi, né di indagine né di messa in sicurezza. Un piano di caratterizzazione ambientale e analisi del rischio è previsto nel piano triennale delle opere pubbliche di Unict, ma ancora non è stato effettuato. Nel frattempo, però, nel piano triennale delle opere pubbliche dell’Ateneo risultano lavori per quasi quattro milioni di euro per generiche messa a norma del dipartimento e dei laboratori di Scienze chimiche. E da poche settimane è stato terminato il sistema antiallagamento – ribattezzato tra il serio e il faceto Mose come l’opera in costruzione a Venezia – per una spesa di 130mila euro.

Per fare i lavori
si è sottratto del terreno che nelle analisi di cinque anni fa è risultato contaminato. Smaltito, come si evince dalle immagini scattate da un corridoio sopraelevato rispetto al cortile dell’edificio, senza riporre calcinacci e materiale di risulta all’interno delle big bags (appositi sacchi sigillati previsti in casi del genere). Quella che potrebbe essere configurata come un’altra presunta violazione. Di certo è un altro punto interrogativo che va a sommarsi a cinque anni di silenzi e di attese.

Carmen Valisano

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