Cinisi, dallo storico balcone passa l’eredità di Peppino «Si preferisce l’odio, invertiamo la rotta: tocca a noi»

«Il 9 di maggio non è una ricorrenza, ora e sempre resistenza». È intonando questo coro storico che ha preso il via da corso Vittorio Emanuele 108 il corteo in memoria di Peppino Impastato. Per ricordare il militante comunista ucciso da Cosa nostra 41 anni fa, infatti, non si poteva non partire, come di rito, dalla sede di Radio Aut, dai cui microfoni Peppino denunciava i misfatti di mafiopoli. In testa al corteo spicca, come sempre, lo storico striscione esibito a un anno dalla sua morte durante la stessa marcia, all’epoca sostenuto dagli amici di una vita a fianco dei quali oggi ci sono anche le nuove generazioni. Mentre tra una fila e l’altra è un concerto di dialetti e cadenze da ogni dove. Questo infatti è da anni un appuntamento irrinunciabile per gli studenti di molte scuole, da Roma a Brescia, da Firenze a Milano, ai quali quest’anno si sono affiancati anche quelli della scuola di Cinisi, non sempre presenti negli anni passati.

«Fuori la mafia dallo Stato, Peppino Impastato ce l’ha insegnato» si alterna a chi, più in fondo al corteo, intona ripetutamente Bella ciaoContestazione lungo tutto il corteo allo spezzone del Pd da parte dei militanti comunisti del Palermitano, che al partito democratico contestano il Job’s act, lo sdoganamento di Casapound, le politiche migratorie portate avanti da Minniti, i recenti scontri coi no TAV a Torino (con un militante PD che ha preso a cinghiate un militante no TAV). «Sono 17 anni che non venite – dice Gabriele Rizzo, di Potere al Popolo – e adesso vorreste rifarvi la verginità». I militanti pd rispondono che non è il luogo adatto per contestazioni del genere, perché la lotta antimafia è di tutti. Dallo storico balcone sono iniziati poi gli interventi. «Oggi è questa la battaglia che dobbiamo continuare a fare, non chinare la testa – grida dal balcone di Casa Memoria Maurizio Landini, al termine del corteo -. Vedere tanti giovani qui fa capire che è il momento di fare ognuno la propria parte fino in fondo, tutti insieme, costruire legami». Un discorso appassionato, come da tradizione per chi si affaccia da quel balcone simbolo. Un discorso che si infiamma ancora di più con la stoccata durissima al governo attuale e ad alcuni suoi esponenti in particolare.

«La battaglia alla mafia non si ricorda una volta all’anno come ha fatto il ministro dell’Interno il 25 aprile, si fa ogni anno e senza fare alleanza coi fascisti – dice con veemenza il segretario generale della Cgil -. Se oggi possiamo dire di essere una repubblica fondata sul lavoro è grazie ai partigiani, se vogliamo continuare a batterci è perché abbiamo la costituzione, non potremmo batterci se ci fossero stati ancora nazismo e fascismo». È un fiume in piena, che si arresta solo per raccogliere un lungo e partecipato applauso che arriva dalla strada. «Vi è un nuovo elemento con cui fare i conti, la corruzione, elemento che indica l’intreccio con la mafia, basta pensare a mafia capitale. Credo che sia proprio importante che il messaggio che ci dice il ricordo di Peppino è che la mafia ha paura degli uomini liberi, della cultura, della conoscenza, è per questo che ci dobbiamo battere per non dimenticare mai nulla. Peppino era scomodo perché rompeva il senso comune, sapeva creare un racconto diverso». Il suo monito è per accogliere tutti una battaglia che possa unirci socialmente tutti. «Non c’è mai stata tanta precarietà come adesso. Abbiamo bisogno di cambiare le leggi ma anche la cultura. Facciamo ogni giorno la nostra lotta a viso aperto – invita il sindacalista -, continuiamola insieme perché possiamo vincerla».

A dargli il cambio è Giovanni Impastato, fratello del militante ammazzato da Cosa nostra. «Sono passati già 41 anni dalla sua uccisione e 40 dalla prima manifestazione contro la mafia, organizzata al primo anniversario dalla sua morte. Non ci siamo fermati mai, abbiamo passato anni restando soli. Mia madre, io, la mia famiglia, gli amici, il Centro Impastato, soli a difenderlo con tanto coraggio e un lavoro instancabile, non abbiamo mai abbassato la testa, restando a schiena dritta come diceva mia madre – racconta -. Non abbiamo mai abbassato il pugno, alzato il giorno del suo funerale. Oggi c’è stato il tentativo di una strumentalizzazione di Peppino, ma noi non vogliamo nei cortei quelli che hanno consegnato l’Italia ai fascisti, sono stati mandati fisicamente via dal nostro corteo, perché noi siamo antifascisti», dice alludendo ad alcune parentesi di tensione registrate durante la marcia da Radio Aut a Casa Memoria, subito smorzate, in cui alcuni grillini sono stati allontanati dal corteo.

«Proprio per questo è venuto il momento di fare sul serio e politicizzare al massimo il nostro impegno, dobbiamo combattere le persone al governo, che ci hanno preso in giro con i vaffanculo day. Ci fanno credere che il problema siano gli immigrati, quando hanno consegnato il Paese ad affaristi, ladri e fascisti, quello che sono pure loro – dice, in una seconda personale furiosa stoccata a chi oggi è alla guida del Paese -. Si tengono dentro al governo persone con rapporti e legami con la mafia, personaggi squallidi per poi venire in Sicilia a fare le passerelle indossando le solite divise e ripudiando il 25 aprile. Non capisco come mai tutte le forze dell’ordine ancora non si sono rese conto che si trovano un personaggio inqualificabile, cafone e razzista a guidarli, come mai non lo avete capito?», dice con una provocazione coraggiosa. «Se gli concedete di indossare le vostre divise significa che siete conniventi con questo fascista. La nostra storia viene da lontano – prosegue Impastato – , dietro il nostro percorso non abbiamo avuto attori falliti, i nostri punti di riferimento sono stati il pensiero di Gramsci, di Pasolini e di Sciascia e le lotte dei partigiani, i contadini di Portella, i sindacalisti uccisi dalla mafia con la complicità dello Stato. Le porte di questa casa saranno sempre aperte e continueremo a sviluppare sempre di più una cultura dell’antimafia e di sinistra. Ora tocca a voi».

Tra questi «voi», i giovanissimi, c’è anche sua figlia, Luisa Impastato. «41 anni ma siamo ancora qua a ricordare le sue battaglie – dice subito anche lei, facendo eco al padre -. Vedo tanti ragazzi che come me non lo hanno nemmeno conosciuto e che sono qui oggi, è la dimostrazione che le sue idee hanno vinto. Mia madre non si è chiusa nel suo dolore come avrebbe voluto la mafia, non chiuderemo mai questa casa. Lei è stata una donna che ha sfidato la mafia, che non si è arresa. Penso anche ad Augusta Schiera Agostino, che non ha potuto vedere condannati gli assassini del figlio». La donna infatti è morta pochi mesi fa senza conoscere la verità sull’omicidio per mano mafiosa del figlio, l’agente Nino Agostino, ucciso il 5 agosto ’89 insieme alla moglie Ida Castelluccio. «Questa terra deve essere la terra del riscatto, di chi non vuole piegarsi – continua Luisa – , la storia di Peppino non è una storia che finisce ma che prosegue oggi con noi. In questa che è l’era della memoria corta. L’antimafia deve essere coscienza critica e pratica di mutamento, se oggi siamo in tanti a ricordare Peppino è perché ci riconosciamo nelle sue idee di giustizia sociale, contro le discriminazioni, per l’uguaglianza. Se oggi io sono qui è perché sento il peso della responsabilità lasciata da mia nonna, che riponeva molto la sua fiducia nei giovani. Io ho 31 anni, un anno in più di Peppino, mi fa impressione pensare che lui sia stato ucciso prima, a 30».

E poi l’inevitabile riferimento alle nuove generazioni, vera chiave per mandare avanti le idee per cui suo zio è stato ucciso. «Per cosa lottano oggi i ragazzi? Dovremmo riscoprire gli ideali, la voglia di lottare per qualcosa di più grande, impegnandoci a contrastare la deriva morale cui stiamo assistendo. Oggi più che mai abbiamo bisogno di vincere l’isolamento – dice -, torniamo a sentirci uniti, solo con la coesione si può resistere alla sopraffazione. Questo oggi a distanza di 41 anni può significare ricordare Peppino. Non ho mai visto un contesto come quello attuale dove alla solidarietà si preferisce l’odio, sentiamo l’esigenza di invertire questa rotta e di rimettere al centro i diritti umani e quello di manifestare il proprio dissenso. Se oggi c’è ancora chi sfida la mafia è perché la mafia resta un problema da affrontare, che però non è nemmeno nell’agenda politica di questo Paese. Eppure i bambini ancora oggi muoiono sotto il fuoco della camorra. Il problema mafia oggi esiste eccome. Grazie a tutti quelli che ancora sono qui numerosi, significa che le idee di Peppino sono più vive che mai».

Silvia Buffa

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