«Umanamente è stata un’esperienza molto forte, molto intensa». Scoprire per la prima volta Cinisi è stato questo per Antonio Lovascio, attore, regista e drammaturgo divenuto, per un giorno, docente d’eccezione nel territorio di Peppino Impastato. Lo ha fatto nell’ambito del progetto di residenza letteraria dedicato alla scrittura di impegno civile, Scrivere di mafia, lanciato da Navarra Editore dal 20 gennaio al 3 febbraio, sostenuto dal MiBACT e da SIAE, rivolto a giovani scrittori sotto i 35 anni. La residenza e le attività formative si sono svolte simbolicamente in due beni confiscati alla mafia: l’EcoVillaggio Fiori di Campo a Marina i Cinisi e l’ex casa Badalamenti. «Mia madre è di Messina, conosco un po’ la Sicilia, ma non ero stato mai a Cinisi. Conoscevo solo l’aeroporto e l’obelisco dedicato a Falcone e alle vittime della strage di Capaci, ma nulla di più», rivela Lovascio.
«Non mi aspettavo un impatto col territorio così forte – torna a dire -. Anche perché avevo già trattato in passato l’argomento “mafia” attraverso il mio lavoro in teatro e conoscevo Peppino Impastato per averne letto un po’ in giro la storia. Ma la sorpresa è stata già soltanto arrivare e alloggiare in un bene confiscato alla mafia, che per me è stata un’esperienza davvero toccante. Ti immagini quanto sporche potevano essere quelle mani che hanno posseduto un tempo quei beni e chissà sotto terra quali storie vengono raccontate, ammetto che ho anche pensato a queste fantasie trovandomi lì. Di notte – prosegue -, siccome sono uno che entra molto in empatia coi luoghi oltre che con le persone, io immaginavo che lì sotto poteva essere stato seppellito qualcuno, mi chiedevo cosa potrebbero raccontarci quelle fondamenta». Suggestioni, lo sa bene Lovascio, che però lo hanno affascinato e incuriosito per tutta la sua permanenza.
«Ho trovato molto toccante anche visitare il piano di sopra di quella che è oggi la biblioteca di Cinisi, dove aveva vissuto proprio Tano Badalamenti». Il suo entusiasmo è tale che agli attivisti che lo accompagnano chiede quali siano le parti rimaste originali risalenti all’epoca in cui il boss viveva lì: «La ceramica delle mattonelle e un bagno in particolare, con dei sanitari molto scuri e quasi di design, e poi il corrimano in legno massello… Di nuovo mi sono chiesto quante volte era stato accarezzato da quelle mani assassine – rivela ancora -. Tutto questo mi lasciava delle suggestioni notevoli addosso. E poi c’è stata la casa museo: vedere gli articoli ufficiali e accanto quelli di controcorrente che raccontavano della morte di Peppino, vedere le sue foto, la sua camera, sapere che lì dentro c’era stata una persona che aveva lottato per una realtà che riguardava tutti mi ha fatto un certo effetto, perché la mafia non è qualcosa calata dall’alto all’improvviso e messa lì. Insomma, non è un viaggio strettamente di piacere, nel senso che vai lì portando qualcosa con te e poi come puoi non portarti a tua volta qualcosa dietro da questi luoghi? E questo qualcosa ti lavora dentro, significa che bisogna dire qualcosa, che c’è di fondo un’esigenza personale».
Per questo Lovascio è sicuro di fare ritorno e di raccogliere anche professionalmente quanto raccolto dalla sua esperienza a Cinisi. «Non è solo questione di mafia – dice infine -. Lo so che c’è il mafioso, c’è il criminale, c’è il corrotto. Ma quando ti scontri anche con istituzioni deviate e depistaggi, come per questa storia, ti domandi davvero molte cose. Mi sono chiesto, mettendomi in discussione, se non viviamo in una realtà molto più inquietante di quella che vediamo: cioè, se fosse tutto mafioso e le cellule impazzite fossero quelli come Falcone e Borsellino? Ma è solo l’ennesima fantasia nella mia testa». A darsi il cambio nei panni del docente insieme a Lovascio sono stati in tanti, nei quindici giorni appena trascorsi a Cinisi. Tra loro c’è stato anche il napoletano Alessandro Gallo, scrittore, attore e regista teatrale che oggi vive a Bologna e da anni lavora nel campo dell’educazione alla legalità con progetti di teatro civile. E che dalla sua ha un’esperienza altrettanto forte, quella di aver preso le distanze da un padre camorrista.
«Quando a quindici anni ho scoperto chi era mio padre leggendo un giornale, ho pensato che dovevo fare una scelta. O sottolineare subito la mia appartenenza al suo mondo, oppure invece sottolineare che appartenevo a mia madre, a un mondo pulito, fatto di sacrifici. Un’eredità completamente diversa, ed è questa che ho scelto», ha raccontato in occasione dell’uscita del suo romanzo Era suo padre. «Quella a Cinisi è stata una giornata stancante ma bellissima e intensa – dice subito -. Casa Memoria e tutto lo staff sono stati fantastici, anche il progetto in sé di una qualità molto alta, sono stato bene. Un luogo dove ho trascorso del tempo davvero prezioso, soprattutto per le persone che ho conosciuto. Spero di tornare presto, capisco le numerose difficoltà che i ragazzi di Casa Memoria devono affrontare ogni giorno, spero di aver dato il mio contributo e di poter fare altro anche in futuro, lì fanno davvero la differenza. Anche la squadra dell’EcoVillaggio vanta un team di operatori bravissimi, sono realtà che vanno raccontate e valorizzate al massimo, perché vedo che lavorano un po’ tutti in una fastidiosa solitudine e con non poche difficoltà. Ma sono vivi, vivissimi e quello che fanno è davvero molto bello».
La partnership con l’associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato Onlus e la Società Cooperativa Sociale Libera-Mente Onlus, che gestiscono le due sedi, rafforza il valore etico e sociale del progetto appena concluso: obiettivo fondamentale della residenza proposta è stato infatti non solo sviluppare le abilità narrative dei partecipanti, ma anche approfondire la storia della lotta alla mafia, di chi ha perso la vita per combattere la criminalità organizzata e di chi tutt’oggi lavora sul territorio in progetti di contrasto alla mafia, attività antiracket, progetti formativi e didattici di sensibilizzazione e divulgazione. La conoscenza approfondita della materia trattata, grazie anche a testimonianze dirette, è infatti fondamentale per gli scrittori che hanno partecipato affinché acquisiscano il giusto approccio, legato a un senso di responsabilità etica, per realizzare opere di narrativa che non strumentalizzino la delicata materia ma anzi siano strumentali a una corretta trattazione e diffusione degli argomenti scelti e del loro fondamentale valore sociale. Al termine della residenza, e a seguito di un lavoro di editing, i testi realizzati dai corsisti saranno pubblicati in un’opera antologica da Navarra Editore, che sarà presentata e distribuita sul territorio nazionale.
Ad accompagnare i corsisti durante i quindici giorni di residenza letteraria a Cinisi alcuni docenti d’eccezione. Oltre a Lovascio e a Gallo, infatti, ci sono stati anche il fondatore del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato Umberto Santino, il giornalista Franco Nicastro, il presidente della Commissione regionale antimafia Claudia Fava, la magistrata Marzia Sabella, l’autore e fumettista Marco Rizzo e lo stesso Ottavio Navarra. E ancora, il professore Alessandro Chiolo, la scrittrice Annamaria Piccione, il commissario capo della polizia (nonché scrittore anche) Piergiorgio Di Cara, l’autrice Gisella Modica, la professoressa Stefania Pellegrini e, ovviamente, docente per un giorno è stato anche Giovanni Impastato, fratello di Peppino.
Ma nel ricco elenco va inserito anche Giovanni Paparcuri, prezioso accompagnatore durante la visita al bunkerino, gli ex uffici del tribunale di Palermo dove lavorarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, rimasti esattamente come all’epoca e divenuti oggi un vero e proprio museo. Per i sei corsisti Giulia, Francesca, Sophie, Lorenzo, Davide e Vincenzo, ci sono state anche alcune gite, come quella a Portella della Ginestra e a Capaci sul luogo della strage del 23 maggio. Durante i loro incontri, i ragazzi hanno anche conosciuto i giornalisti Attilio Bolzoni e Gian Mauro Costa, ma anche Graziella Accetta, la mamma del piccolo Claudio Domino ucciso dalla mafia.
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