Ciancio, i dettagli della discussione in Cassazione «Giudice etnea aveva forse una sfera di cristallo?»

Un giudizio costruito su una serie di valutazioni autoevidenti – e non motivate -, la possibilità che la giudice sia in possesso di una sfera di cristallo e l’emersione della volontà, da parte della togata etnea, di non celebrare questo processo. Sono solo alcuni passaggi, i più duri, della requisitoria condotta in Cassazione dal procuratore generale romano che rappresentava ieri la procura di Catania nel ricorso contro il proscioglimento in udienza preliminare di Mario Ciancio Sanfilippo. Indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e scagionato dalla giudice etnea Gaetana Bernabò Di Stefano con una sentenza che aveva subito fatto discutere. E che ora è invece da rifare. Accanto alla procura etnea, a sostenere il proprio ricorso – diverso ma contrario allo stesso giudizio – erano anche i fratelli Dario e Gerlando Montana, rappresentanti dall’avvocato Goffredo D’Antona. Per Ciancio erano presenti gli avvocati Giulia Bongiorno e Carmelo Peluso che – con una memoria di 50 pagine – hanno anche chiesto l’inammissibilità del ricorso dei Montana, in quanto persone danneggiate e non offese. Una differenza tecnica di cui si dirà in seguito.

In sostanza, a essere state discusse a Roma nell’udienza durata poco più di un’ora sono due diverse tesi. Quella – semplice e immediata – della Procura, secondo cui il giudizio di Bernabò Di Stefano andava annullato perché negava l’esistenza del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Nonostante «il grandissimo intuito di Falcone» che lo teorizzò, scriveva la giudice. Una decisione che ha fatto rizzare i capelli anche a Nunzio Sarpietro, a capo dell’ufficio gip di Catania, che ha preso le distanze dalla collega con una nota ufficiale. E l’altra tesi, quella della difesa di Ciancio – più tecnica – secondo cui la togata catanese avrebbe evidenziato la mancanza di basi per un eventuale processo, compresa l’assenza di alcune indagini aggiuntive chieste dal primo giudice che si è occupato del caso, Luigi Barone. Tesi su cui ha scelto di basarsi anche la parte offesa, ma per far emergere come, nell’eventuale assenza di elementi importanti, la giudice avrebbe dovuto chiedere alla procura di indagare ancora e non prosciogliere qualcuno della cui innocenza, così come della colpevolezza, non poteva essere sicura. E a sposare la via meno semplice sembra essere stato anche il relatore dei ricorsi, il più giovane dei cinque giudici del collegio chiamato a esprimersi. Che avrebbe a tratti messo in difficoltà il procuratore generale.

Ma, alla fine di una lunga camera di consiglio sciolta solo in serata, la Cassazione ha deciso di annullare con rinvio il proscioglimento di Ciancio. Il caso insomma tornerà in udienza preliminare. Con molta probabilità non prima dell’anno nuovo. Nel dispositivo dei giudici ermellini non si fa invece riferimento alla richiesta di inammissibilità del ricorso dei Montana presentata dai legali dell’editore. Né si condanna la parte al pagamento delle spese legali. Sembra quindi che i giudici siano d’accordo nell’attribuire a Dario e Gerlando Montana, fratelli del commissario di polizia ucciso dalla mafia nel 1985, lo status di parte offesa a causa della mancata pubblicazione sul quotidiano La Sicilia del necrologio del fratello, pare rifiutato dallo stesso direttore ed editore Mario Ciancio. Secondo i legali dell’imprenditore, i due avrebbero dovuto essere piuttosto parte danneggiata. Un tecnicismo che se ne porta dietro un altro: l’impossibilità per loro di presentare un ricorso in Cassazione contro questo tipo di proscioglimento. Ricorso invece vinto ieri.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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