Chimica Arenella, lager per cani in fabbrica di lievito «Reclusi e in catene, alcuni bruciati vivi nell’incendio»

Nessuno sa quanti cani ci sono nella fabbrica di lievito della Chimica Arenella. Nessuno può dire con certezza quanti cani sono bruciati durante l’incendio che da Monte Pellegrino è sceso fino al mare e se ne sono sopravvissuti. Nessuno sa quanti cani c’erano prima delle fiamme. Nessuno conosce i nomi dei padroni, né sa niente e neanche ne vuole sapere. La Chimica Arenella è una piccola città nella città. Un polo industriale sul mare tra l’Arenella e Vergine Maria che nei primi del Novecento, subito dopo la sua costruzione, rappresentava una delle eccellenze a livello internazionale nell’industra chimica. Ospitava, tra le altre, la più grande fabbrica di acido citrico d’Europa. Chiusa dal 1965, nonostante i vani tentativi di rilancio dell’area, i 14 edifici, tra case e capannoni, al suo interno versano nel degrado, tra rifiuti urbani e industriali e l’immancabile eternit. E proprio uno di questi edifici, quella che un tempo si estraeva il lievito di birra dalla melassa, è diventato una sorta di lager per cani

Nessuno sa appunto quanti, «La struttura è troppo grande e non riesco a girarla tutta» racconta Nicola, uno dei volontari che si occupano di dare aiuto ai tanti animali in difficoltà a Palermo e che diverse volte è intervenuto nella ex fabbrica. «E poi non posso andare da solo a controllare, non è un posto sicuro, non è frequentato da bella gente». «Un labirinto pieno di casotti, di cunicoli» aggiunge Linda, compagna di Nicola. «Quando abbiamo liberato i primi quattro cani – continua – non potevamo immaginarci che ce ne potessero essere degli altri, quelli che sono poi morti bruciati. Si sentono abbaiare, ma a volte è proprio impossibile rintracciarli». E come ogni carcere ci sono anche i reparti. «Chi mette i cani là dentro lo fa per tante motivazioni» spiega ancora Linda. «C’è chi li porta alla fabbrica per farli accoppiare e poi vendere i cuccioli, chi li lascia lì perché non sa dove tenerli, chi ci tiene i cani per i combattimenti». Impossessarsi di una cella è semplice d’altra parte, basta entrare nella struttura, trovare una stanza vuota e chiuderla con una porta di fortuna, catene e lucchetti. Il resto non serve, come dice ancora la volontaria. «Sono cani tenuti in condizioni disumane: al buio, spesso digiuni e senza acqua, relitti».

Tra quei relitti c’era anche Libera, una pitbull bianca e nera che si poteva solo intravedere da dietro al buco di una porta. Quando i volontari hanno scardinato i lucchetti si sono trovati di fronte una piccola fantasma, un mucchio di ossa intimorito che, una volta capite le intenzioni degli uomini ha preso a scodinzolare. «Era stata incatenata e lasciata al buio a morire di stenti» dice ancora Nicola. «I veterinari erano quasi propensi all’abbattimento. Adesso ricoverata da più di un mese a spese nostre, sta meglio e lotta per farcela». Quel giorno insieme ai volontari, c’erano anche alcuni agenti della Municipale, ma il canile – si sa – è al collasso e non ci sono mezzi e reperibilità per recuperare e occuparsi degli animali. Nessuno è arrivato a dare assistenza. Con Libera altri tre cani sono stati portati fuori dalla fabbrica dai volontari. Tra questi c’erano due cuccioli di pastore tedesco, figli di una coppia rinchiusa per la riproduzione. «I genitori erano chiusi con catene e lucchetti, gli tiravamo il mangiare attraverso le sbarre. Quando abbiamo saputo dell’incendio ci siamo precipitati da Monreale per portarli in salvo». «Il giorno dell’incendio io e Nicola abbiamo rischiato la vita, siamo entrati dentro la fabbrica e abbiamo tirato fuori i genitori. C’erano bombole di gas dentro i casotti, era l’inferno. Ma siamo stati noi: due semplici individui a portare in salvo i cani Non interessa a nessuno».

Diversa sorte è toccata a un altro pitbull. Di lui Nicola ha trovato solo la carcassa fumante. «Lui era probabilmente uno dei cani usati per i combattimenti» spiega Linda. «Era legato con una catena. È morto senza scampo, dannato». E l’Arenella, e il suo polo industriale in rovina, non sono nuovi a episodi del genere. Era il 2011 quando gli uomini del Nucleo operativo protezione animali sono riusciti a mettere fine a un giro di combattimenti tra cani con il sequestro di molti animali. Venivano fatti lottare nella zona della vecchia cava. «Quella volta sono venuti con gli elicotteri – ricorda la volontaria – ma dopo di allora non è successo più niente e il fenomeno è ripreso». Un fenomeno che sembra non passare mai di moda. «Noi recuperiamo spesso cani con chiari segni di combattimento sul corpo, non solo qui, anche allo Zen e nei pressi del Villaggio Santa Rosalia».

Gabriele Ruggieri

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