Che fine hanno fatto le mascherine made in Sicily? «Dalla Regione fondi per produrle, ma non le compra»

«Fortunatamente ci muoviamo in un mercato globale, ma è inutile negare che ci saremmo aspettati di avere nella pubblica amministrazione siciliana il nostro primo cliente». È trascorso più di un anno dall’appello lanciato da Nello Musumeci alle aziende dell’Isola affinché si muovessero in direzione di una riconversione industriale capace di frenare l’avanzata del Covid-19 avviando la produzione di mascherine, gel igienizzante e camici. Erano i primi mesi della pandemia e aggiudicarsi le forniture di dispositivi di protezione non era semplice. A rispondere a quell’appello, che si inseriva a pieno nella retorica bellica spesso utilizzata per parlare del Covid, furono soprattutto le aziende aderenti a Meccatronica, distretto istituito dalla Regione per favorire la cooperazione tra imprese della meccanica, dell’automatica, dell’elettronica e dell’informatica. Nei prossimi mesi, per chi ha investito nella riconversione ci sarà la possibilità di ottenere un contributo economico a fondo perduto, fino a un massimo di 800mila euro. «Sarà una misura utile, ma comunque monca rispetto a quello che è stato fatto e soprattutto quello che poteva essere fatto», commenta a MeridioNews il presidente di Meccatronica Antonello Mineo.

Nella delibera con cui il governo guidato da Nello Musumeci, che rispetto a un anno fa guida anche l’assessorato alla Salute dopo l’indagine che ha portato alle dimissioni di Ruggero Razza, ha prorogato i termini per presentare le domande, si legge che l’iniziativa nasce dalla volontà di creare le condizioni per «soddisfare la richiesta di mercato interna». Stando però agli ordini che arrivano alle imprese siciliane che hanno iniziato a produrre dispositivi di protezione, le cose non starebbero così. «La Sicilia si è resa autosufficiente con capitali privati delle aziende – commenta Mineo – Oggi abbiamo uno stabilimento a Carini (Palermo) capace di produrre ogni giorni 20mila mascherine Ffp2, 60mila chirurgiche, oltre a essere l’unico al Sud che realizza Ffp3. A Marsala (Trapani), invece, quotidianamente si fanno 20mila Ffp2. Ma in entrambi i casi i clienti non stanno in Sicilia». Le due aziende sono rispettivamente la Montalbano e la Puleo. Più che una conversione, la loro è stata una diversificazione del business, mantenendo le specializzazioni in presse per l’uva e macchine per il trattamento dei rifiuti.

«C’è stato un momento in cui sembrava che la sanità siciliana volesse dotarsi di prodotti a chilometro zero e sicuri – va avanti Mineo -. Abbiamo avuto diversi contatti con i dirigenti, poi però sono arrivate le mascherine cinesi di Arcuri». L’ex commissario nazionale per l’emergenza Covid è tra gli indagati per la maxi-fornitura di dispositivi non capaci di filtrare in maniera adeguata. «Lo avevamo fatto presente a tempo debito, le nostre aziende hanno speso decine di migliaia di euro per i test di laboratorio e per ottenere le certificazioni. Ma se al momento di fare le gare d’appalto ci si basa soltanto sul fattore prezzo, è chiaro che i prodotti cinesi restano imbattibili». A fine estate, il distretto Meccatronica ha recapitato il proprio catalogo anche al dipartimento regionale della Protezione civile. «A quella pec non ha mai risposto nessuno», chiosa Mineo.

Ciò che resta quindi è un fondo da 20 milioni di euro, gestito dall’Irfis, che comunque servirà a chi ha affrontato spese o nonostante tutto vuole aprirsi al mercato dei dispositivi di protezione individuale, nella consapevolezza che la partita con il Covid – e con potenziali future altre pandemia – è tutt’altro che chiusa. «Sono risorse che fanno comodo, ma mi sento di dire che la norma ha tenuto conto soltanto della produttiva di questo ecosistema economico – dichiara il presidente di Meccatronica -. Le faccio un esempio: avevamo un progetto per potenziare un inceneritore già attivo per rifiuti sanitari, come sono le mascherine, ma non è finanziabile perché la fase di smaltimento dei Dpi è stata considerata un servizio». Un altro tema che ha portato qualche azienda a tirarsi indietro è stata l’impossibilità di rendicontare le spese per l’acquisto di materie prime: «Ci sono imprese che l’anno scorso, quando la domanda era schizzata alle stelle, hanno acquistato alcol a prezzi altissimi per iniziare a produrre gel ma adesso non potranno beneficiare del contributo».

Un’altra occasione persa, secondo Mineo, è quella che avrebbe potuto portare alla nascita di un’azienda di produzione di guanti. «Il prodotto che è più difficile rintracciare sul mercato – commenta -. C’era chi voleva far partire uno stabilimento in Sicilia, ma il limite al valore del progetto finanziabile, ovvero un milione e mezzo, ha fatto desistere gli imprenditori». Per il presidente di Meccatronica, il bando, che prevede la possibilità di avere a fondo perduto fino al 40 per cento dell’investimento, rischia di aprire le porte a una nuova ondata di contributi a pioggia: «Non mi stupirei se alla fine arrivassero anche tante domande di piccoli artigiani che, volendo cogliere l’occasione per acquistare una macchina tessile da 50mila euro, inizieranno a realizzare qualche mascherina». Infine un aneddoto sulle tante invocate mascherine made in Sicily, che però in Sicilia non rimangono se non per iniziativa di singoli privati: «Capita di essere contattati da medici del settore pubblico che, non fidandosi dei dispositivi che arrivano in ospedale, vengono a comprarli privatamente da noi», conclude Mineo.

Simone Olivelli

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