«Io stesso ho dei parenti condannati per reati di tipo mafioso e lo ammetto tranquillamente. Non ne ho paura perché so che, grazie alla cultura, sono diverso». Felpa larga, cappello al contrario, un normale ragazzo che frequenta il quarto anno di scuola superiore. Un giovane qualunque che è riuscito, grazie alla sua testimonianza, a catturare l’attenzione delle centinaia di studenti e docenti presenti al cinema Rouge et Noire di Palermo durante la conferenza del progetto educativo antimafia 2015-2016, promossa dal centro Pio La Torre.
«Avrei anche delle domande – dice il ragazzo, il primo a prendere la parola – ma c’è qualcosa che devo esternare». La voce è sicura, ma il discorso è tutt’altro che preparato e assume più i contorni di uno sfogo. «Penso che portare più cultura in ogni casa debba essere la prima cosa da fare per arginare il fenomeno della mafia – continua – Con la cultura si potrebbe offrire la possibilità anche al figlio di un mafioso di uscire da determinati schemi, da determinate gabbie. Penso che il fenomeno si limiterebbe». Poi la domanda rivolta ai relatori. «Vorrei sapere – chiede il giovane – perché lo Stato non investe maggiormente sulla cultura, sulla scuola, sulle famiglie povere? Sono le famiglie povere che spesso finiscono nelle mani di strozzini e mafiosi. Bisognerebbe agire, ma noi da soli non possiamo farlo e lo Stato sembra fregarsene. E invece deve aiutarci».
«A volte siamo stati noi a mancare di capacità culturale – risponde il vescovo di Acireale, Antonio Raspanti, uno dei relatori della conferenza – I mafiosi di oggi, tuttavia, hanno cultura da vendere, non si tratta più di piccola manovalanza. Sono però d’accordo con te nel dire che maggiore cultura alzerebbe la soglia di una certa sensibilità. È vero che determinati poteri hanno terreno fertile dove c’è povertà, ma non è una cosa automatica. Poi sono scelte dettate da coscienza e valori».
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