Centro Astalli, da 15 anni al servizio dei migranti «Nell’accoglienza si viaggia a vela, senza motore»

«Nel mondo dell’accoglienza, a Palermo come altrove, si viaggia a vela e non c’è un motore. I finanziamenti arrivano quando arrivano ma su questo ci abbiamo fatto il callo». Alfonso Cinquemani, il presidente del Centro Astalli, non è una persona che alza la voce o che fa polemica. Le attività che dal 2003 l’organizzazione dei gesuiti per i rifugiati porta avanti sono molteplici. E sono raccolte nel Rapporto Annuale 2018 che il centro ha da poco diffuso. Servono 66 pagine per descrivere la rete territoriale sparsa in otto città italiane. Ma Cinquemani, responsabile del centro che fornisce assistenza e servizi ai migranti della città e che dal 2006 ha sede a Ballarò, preferisce il basso profilo. «Ci interessa invece puntualizzare l’attività di volontariato che va avanti da 15 anni in maniera silenziosa: ogni anno nelle nostre strutture accogliamo mille persone nuove, offriamo tra le 80 e le 100 colazioni al giorno. Il centro diurno non ha finanziamenti pubblici nè parapubblici, soltanto qualche benefattore e la somma di tante piccole offerte».

Nella minuscola piazzetta di Ballarò, alle spalle di piazza Professa, il rito quotidiano della colazione collettiva appare semplice e allo stesso tempo straordinario. Decine di volontari provenienti da ogni parte del mondo forniscono latte caldo, cornetti, persino arancine alle persone bisognose che ne fanno richiesta. Basta registrarsi, in maniera tale che a ciascuno viene fornito un numero che accerta le presenze. Una babele di lingue e di nazionalità, dove tutti aiutano tutti. «Si è creata una rete di solidarietà – spiega Cinquemani -. Ci sono i bar che ci regalano i cornetti, riceviamo collette alimentari, e arrivano in continuazione richieste per poter partecipare alle nostre distribuzioni di cibo». Un numero significativo erge sugli altri: nei suoi otto centri (Roma, Palermo, Catania, Trento, Vicenza, Napoli, Milano, Padova), con 687 volontari, il centro Astalli ha distribuito 59.908 pasti.

La sede palermitana ha cominciato il suo servizio in favore dei migranti grazie alla volontà di un gruppo di volontari del CEI – Centro Educativo Ignaziano, che decisero di organizzare corsi di alfabetizzazione per i migranti in città. Dal 2014 è stato attivato il progetto Sprar presso Casa Professa, l’ex residenza dei padri gesuiti. Qui nel 2017 sono state accolte 47 persone. L’attività collegata al servizio Sprar proseguirà nel triennio 2017- 2019 usufruendo di una nuova struttura, adiacente ai locali dell’Istituto Pedro Arrupe, ricevuta in comodato gratuito dalla Compagnia di Gesù e adeguata per accogliere tre gruppi familiari richiedenti asilo e rifugiati. «Lo Sprar è un’attività collaterale – afferma ancora Cinquemani -. È un’attività residenziale con 30 persone tra cui ci sono anche famiglie con bambini che hanno problemi ospedalieri. Sono casi limite, tra i centri di accoglienza solo noi prendiamo in carico questi casi». 

Nel Rapporto Annuale il dato che salta all’occhio è il calo degli arrivi di rifugiati in Italia: nel 2017 sono stati 62.067 in meno rispetto all’anno precedente, ovvero 119.369 contro i 181.436 del 2016. Ma l’obiettivo di un sistema di accoglienza unico e con standard uniformi è ancora lontano, anzi aumentano le difficoltà di accesso alla protezione per chi chiede aiuto. «Da noi accedono coloro che arrivano direttamente dal porto, ma la maggioranza sono persone in attesa dell’esito per la domanda di protezione internazionale o che anzi abitano a Palermo e che accedono ai nostri servizi come il medico e l’avvocato». L’associazione infatti offre servizi di prima accoglienza sempre molto richiesti: dall’ambulatorio medico alla consulenza legale, dal servizio colazione alle docce alla distribuzione di indumenti (con le strutture troppo piccole rispetto alle reali esigenze), dalla scuola di italiano (con tre livelli di insegnamento e cinque classi) al doposcuola, fino al centro d’ascolto («ogni anno arrivano mille persone nuove, segno che il servizio funziona, direi quasi purtroppo perchè vuol dire che se non le ascoltiamo noi queste persone non le ascolta nessuno») allo sportello lavoro. 

E se a livello nazionale il dato dei rifugiati diminuisce, aumenta invece il numero di interventi. Segno evidente che i migranti che vivono a Palermo, provvisoriamente o stabilmente, continuano ad avere enormi difficoltà di inserimento sociale. Solo l’anno passato, ad esempio, sono state oltre 20mila le colazioni servite nel corso dell’anno, il 39 per cento in più rispetto al 2016. Anche lo sportello legale ha registrato un aumento degli interventi che sono passati dai 185 del 2016 ai 287 del 2017, con un incremento del 55 per cento. È per questo che il centro propone anche diverse attività di seconda accoglienza. 

Dall’inizio del 2017 il Centro Astalli di Palermo è ad esempio promotore del progetto Generazione intercultura 2.0 finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito della linea Giovani per il Sociale. Con questo progetto 103 migranti tra i 18 e i 30 anni, perlopiù provenienti dall’Africa sub-sahariana e ospiti in vari centri di accoglienza del territorio, insieme a molti cittadini palermitani hanno preso parte a quattro laboratori artistico- artigianali (falegnameria, modellazione e decorazione applicata alla ceramica, sartoria, cucina) in un’ottica di valorizzazione delle abilità, condivisione e multiculturalità. «Credo che sia un tentativo  riuscito di passare dall’accoglienza alla promozione di lavoro – osserva Cinquemani -. I laboratori dovrebbero terminare a ottobre, ora ci sono giovani che hanno delle piccole prospettive. Il problema dell’inserimento dei migranti qui sono i neomaggiorenni, chi compie 18 anni spesso non ha grandi opportunità». 

Ecco perchè diversi centri di accoglienza preferiscono mentire sulle reali età dei richiedenti asilo, spacciandoli per minorenni anche quando non lo sono più da tempo e preferendo tenerli in un limbo dove si continua a crescere ma si resta immobili .«Sono situazioni che esistono» ammette il volontario «e sono sintomo di un problema. Mentre in altri Paesi come la Germania le procedure sono abbastanza rapide, qui tra affollamento delle commissioni e burocrazia ci vogliono anni prima di ottenere una risposta per il riconoscimento del proprio status e persino per ottenere i documenti. La politica li chiama clandestini ma in realtà spesso i migranti sono persone registrate e in attesa. Come da noi, come ovunque».

Andrea Turco

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