L’immagine della nube nera sui territori alle pendici dell’Etna è lontana dall’essere un ricordo. L‘ultima eruzione che ha portato alla caduta di cenere risale soltanto a due giorni fa. I fenomeni parossistici che da febbraio scorso, a parte qualche tregua, si sono registrati con una certa continuità, sono quasi sempre seguiti da una scia di sabbia nera, portando Comuni e cittadini all’esasperazione. In questi mesi la Regione e il governo nazionale hanno stanziato dei fondi a favore dei 28 Comuni della fascia jonico-etnea colpiti, con una maggiore attenzione a Zafferana, Giarre, Riposto Milo, Santa Venerina, dove la caduta di cenere è stata ancora più intensa rispetto alle altre località. Circa dieci milioni che però non basterebbero a coprire i tantissimi bisogni dei Comuni, che devono occuparsi della pulizia e dello smaltimento. Per provare a venire a capo alle tante criticità, la Protezione civile, con una determina dello scorso 2 dicembre, ha indetto una gara per stipulare un accordo quadro con ditte private a cui affidare la «rimozione e conferimento del materiale vulcanico ricaduto nel territorio areale etneo» per due anni.
Il capitolato d’appalto rivolto ai privati è diviso in tre lotti, divisi in: versante nord-nord est; est-sud est e versante sud-sud ovest. L’accordo tra la ditta e la Regione avrà una durata di 730 giorni. L’operatore economico potrà presentare l’offerta per più di un lotto, ma con la possibilità di aggiudicarsene soltanto uno a meno di assenza di concorrenza. Le imprese possono presentare le proprie offerte fino al prossimo 3 marzo. Il valore di ciascun lotto parte da una base d’asta di 744mila euro. Gli aggiudicatari dovranno occuparsi degli interventi su «strade, autostrade, porti, viadotti, ferrovie, linee tranviarie, metropolitane funzionanti, piste aeroportuali e relative opere complementari». L’appalto sarà affidato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dunque sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo. Tra le migliorie richieste ci sono la qualità dei servizi di monitoraggio, dei mezzi e delle attrezzature in dotazione alle squadre d’intervento, oltre alle qualifiche in possesso del personale.
Intanto i Comuni devono fare i conti con i tanti disagi. Per la raccolta del materiale i sindaci si affidano alle ditte per la raccolta dei rifiuti, ma spesso i mezzi e i luoghi dove smaltire la cenere non bastano. In più rimane l’incognita riguardante la possibilità di reinserire la cenere vulcanica nel ciclo produttivo e quindi riutilizzarla nel campo edilizio o agricolo, come aveva previsto un punto sul decreto Semplificazioni del governo nazionale. Con questo provvedimento, arrivato anche alla luce degli studi condotti dall’Università di Catania, la cenere vulcanica non sarebbe considerata più un rifiuto speciale, ma identificata come roccia da scavo. Tuttavia, su questo fronte l’iter continua a rimanere in stallo. Il senatore giarrese del Movimento 5 stelle Cristiano Anastasi si era fatto promotore dell’iniziativa. Al momento, però, i Comuni non hanno direttive precise sul procedimento da adottare per un possibile riutilizzo. «I sindaci del territorio non sono sicuri sulle azioni da compiere in questo senso, perché a livello legislativo il percorso deve ancora essere definito. A ottobre – afferma Anastasi a MeridioNews – ho chiesto al ministero della Transizione ecologica i prossimi passaggi quali saranno, ma non ci viene data nessuna risposta».
In attesa che gli enti locali abbiano un sostegno, l’attesa è anche nei confronti della Regione. Il governo Musumeci aveva dichiarato di volere sfruttare le cave dismesse come luongo di conferimento della cenere. «Sono state fatte delle valutazioni sui siti», fanno sapere dalla Regione a MeridioNews. Nessun commento, invece, sui tempi che bisognerà ancora attendere.
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