Catania, rimpatriati i migranti maggiorenni Tra i cinque nuovi arrestati anche due minori

A notte fonda li hanno portati in aeroporto per espatriarli. I migranti che sono sbarcati al porto di Catania, scortati dalla Guardia di finanza, intorno alla mezzanotte del 27 giugno, erano in tutto 115. Dopo una giornata trascorsa nella palestra dell’istituto comprensivo Andrea Doria, in via Cordai, a pochi metri da via della Concordia, un paio di pullman sono arrivati a prenderli. Prima i 52 che si sono dichiarati minorenni, e che sono stati smistati nei centri di accoglienza disponibili. Poi tutti gli altri, cioè i maggiorenni nordafricani – solo uomini, per lo più egiziani – che hanno passato diversi giorni in mare, prima di essere intercettati dalle forze dell’ordine italiane.

Oltre ai quattro presunti scafisti, individuati subito dalle fiamme gialle, la squadra mobile della polizia etnea ha fermato cinque migranti, con l’accusa di «favoreggiamento dell’ingresso clandestino di più persone nel territorio italiano». Due di loro sono minorenni, nati entrambi nel 1995. «I tre che hanno raggiunto la maggiore età si trovano nel carcere di piazza Lanza – spiegano gli inquirenti – gli altri due, invece, nel centro di prima accoglienza di via Raimondo Franchetti». Tutti saranno presto sentiti dal giudice per le indagini preliminari, affinché ne convalidi o meno il fermo. Mentre è caccia a Abu el Yusef, egiziano di cinquant’anni, secondo la polizia l’organizzatore dello sbarco. Diversi migranti lo avrebbero indicato come l’uomo a cui hanno pagato tra i mille e i 2mila 500 euro per la traversata. Abu el Yusef è ricercato per immigrazione clandestina e già quattro anni fa era stato arrestato in Lombardia per traffico di esseri umani dal Nord Africa.

«Ancora una volta, i diritti dei migranti sono stati calpestati», commenta Alfonso Di Stefano, della Rete antirazzista catanese che, insieme a una trentina di militanti di varie associazioni, è stato allertato ieri sera della presenza dei pullman davanti alla palestra dell’Andrea Doria. E se era normale che i minori venissero trasportati in strutture adeguate, «lo stesso non poteva dirsi per tutti gli altri». «La palestra dell’Andrea Doria è inagibile e interrata, perché l’hanno scelta? Per accoglierli o per nasconderli?», si domanda Di Stefano. La situazione si è delineata quando sugli autoveicoli sono stati fatti salire i più adulti. «Abbiamo capito subito che si trattava dell’ennesima deportazione forzata – racconta – Ci siamo stesi per terra davanti alle ruote del mezzo, per impedire che partisse». E lì sono rimasti per un paio d’ore. «La polizia, in assetto antisommossa, era paralizzata – spiega – Sapevano che non potevano rischiare di far innervosire i migranti, allontanandoci con la forza». A invitarli caldamente ad andarsene, però, «ci ha pensato qualche malavitoso del quartiere». Troppo movimento nella zona del tondicello della playa, una delle più vivaci dal punto di vista dello spaccio di sostanze stupefacenti. «Un tizio si è avvicinato e ci ha detto che davamo fastidio, che dovevamo finirla di tenere l’attenzione alta su quel punto, altrimenti a noi avrebbe pensato lui. E gli uomini della Digos dicono di non aver sentito nulla», afferma Di Stefano.

«C’erano – continua l’attivista della Rete antirazzista catanese – almeno tre nordafricani che volevano richiedere asilo politico, perché praticano la religione cristiana ortodossa copta e, di conseguenza, sono perseguitati in Egitto». Secondo il suo racconto, gli uomini aspettavano di incontrare qualcuno del Consiglio italiano per i rifugiati, ma sono stati espatriati prima che potessero farlo. «Abbiamo chiesto l’autorizzazione a parlare con i migranti al ministero dell’Interno – dice Alioune Badara Gueye, del Cir – Ma non è mai arrivata». Lui e una collega sono rimasti davanti alla palestra «fino alle 20, poi abbiamo capito che non saremmo entrati e siamo andati via». E sulla presenza di copti non sa essere preciso: «Era una voce che girava, purtroppo non sono in grado di confermarla».

La situazione dei minorenni, invece, è per il momento più chiara. Li hanno divisi tra i diversi centri che hanno dato disponibilità. «Dentro la nostra struttura ce ne sono sei, tutti egiziani, di età compresa tra i 16 e i 17 anni», afferma Vincenzo Serrantino, segretario generale dell’Istituto pubblico di assistenza e beneficenza Regina Elena, in via Cifali, a Catania. «Un paio di loro li stiamo facendo visitare da un medico, per verificare che stiano bene – prosegue – Tutti hanno avuto modo di telefonare in Egitto per mettersi in contatto con i familiari». Due sedicenni e un diciassettenne sono stati portati nei locali della cooperativa Prospettiva, sempre nel capoluogo etneo, altri quattro giovani – tra i 15 e i 17 anni, alcuni dei quali francofoni – sono invece nella comunità Piccolo principe di Mascalucia. I più piccoli, due quattordicenni, hanno trovato ospitalità nella cooperativa sociale Promozione di Acireale. Nino Grasso, il presidente, si ritiene fortunato: «Questi bambini parlano un po’ di inglese e, visto che qui da noi ci sono i ragazzi del servizio civile europeo, abbiamo qualcuno in grado di comunicare con loro». «Li abbiamo vestiti e abbiamo dato loro da mangiare, poi li abbiamo ascoltati raccontarci la loro storia – conclude Grasso – Fa impressione vederli così piccoli e con un vissuto così triste, accoglierli è il minimo che dovremmo fare».

Luisa Santangelo

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