Catania, le donne e la mafia dal 1986 a ieri Sdisonorate, vittime e boss

Sei donne, tutte catanesi. Cinque storie diverse accomunate da due elementi: la morte e la mano della mafia dietro il loro omicidio. Sono le cinque vicende di donne etnee raccolte nel dossier Sdisonorate, realizzato dall’associazione romana antimafie daSud. Vittime casuali del destino e della violenza criminale. Oppure assassinate perché legate a uomini di mafia: interne loro stesse al sistema, in fuga da esso o pedine di vendette trasversali. Colpevoli, a volte, delle proprie amicizie.

1986
Nunziata Spina
Messina
La sala d’attesa dell’istituto ortopedico Ganzirri di Messina è la scena dell’omicidio di Nunziata Spina, 35enne originaria della provincia di Catania. Nella saletta vicino a lei ci sono un ragazzino di 13 anni e un 21enne, ricoverato anche lui, Pietro Bonsignore, un pregiudicato. Stanno chiacchierando, come spesso si fa tra pazienti. Nunziata non può immaginare che l’uomo seduto vicino a lei è imputato nel maxi processo e che sulla sua testa pende una sentenza di morte. All’improvviso due uomini fanno irruzione e iniziano a sparare. Nunziata prova a nascondersi. Inutilmente. Un colpo vagante la prende alla testa. Gli assassini completano il loro piano di morte sparando il colpo di grazia a Bonsignore.

1994
Liliana Caruso e Agata Zucchero
Catania
Liliana Caruso ha 28 anni, suo marito è Riccardo Messina, membro del clan Savasta. Quando l’uomo decide di pentirsi, Liliana non ha dubbi: non lo disconoscerà come tante hanno già fatto in questi casi con i loro compagni, decidendo di rimanergli accanto nel suo percorso di collaboratore. Pagherà con la vita questa scelta. Il 10 luglio viene uccisa nel pieno centro di Catania: due killer le sparano al volto. Altri due criminali uccidono sua madre Agata Zucchero, poco distante da lei. Per gli investigatori non è difficile trovare un movente: per fare desistere Messina, il clan Savasta aveva inviato degli emissari da Liliana con lo scopo di convincerla a fingersi ostaggio della mafia con il resto della sua famiglia, obbligando così l’uomo a ritrattare. Liliana non solo si era rifiuta di assecondarli, ignorando le minacce, ma era andata dai giudici a denunciare. Soltanto due giorni prima di morire, convinta di non dover temere per la sua vita, si era recata in carcere dal marito per metterlo in guardia, temendo per lui. Messina, dopo l’atroce vendetta trasversale, continuerà a collaborare con la giustizia. La procura di Catania trova i mandanti del delitto e ordina un arresto e sette fermi per associazione mafiosa e omicidio.

1995
Carmela Minniti
Catania
È l’1 settembre, Carmela apre la porta ai suoi assassini che al citofono si spacciano per poliziotti e viene uccisa a colpi di pistola. Con lei c’è sua figlia, che viene risparmiata. Carmela non è una donna qualunque, è la moglie del mammasantissima di Catania Nitto Santapaola. A lungo ci si è chiesti il movente del delitto di Carmela: una delle ipotesi era che il boss volesse diventare collaboratore di giustizia. La Procura sostenne, invece, che si è trattato di un avvertimento dei suoi rivali affinché capisse che il suo potere si avviava al declino. Giuseppe Ferone, collaboratore di giustizia, dichiarò invece di aver ucciso Carmela per vendicare la morte di suo figlio e suo padre. Era convinto che Santapaola non avesse fatto niente per evitare l’omicidio dei suoi congiunti. La donna aveva più volte rilasciato, poco prima di morire, dichiarazioni pubbliche a difesa dei suoi figli arrestati per associazione mafiosa.

1996
Santa Puglisi
Catania
Santa non poteva sfuggire al suo destino. Suo padre è Antonino Puglisi, capo del clan Savasta, arrestato nel 1995 per l’omicidio di Liliana Caruso e Agata Zucchero, moglie e suocera di Riccardo Messina, pentito del suo stesso clan. Suo marito, Matteo Romeo, è stato ucciso da pochi mesi, il 23 Novembre 1995. Il 27 agosto 1996 Santa, come tutti i giorni, sta portando fiori freschi sulla tomba del marito. Quel giorno è in compagnia di due nipoti del capomafia, Salvatore Botta, 14 anni e una ragazzina di 12, la cui identità è tenuta riservata. Il killer solitario non si limita a uccidere Santa e Salvatore, ma sfregia le vittime e di riflesso il boss detenuto. Dalle indagini emerge che l’assassino si è appostato ore prima nel cimitero, nascondendo una pistola in un vaso. Ha colpito prima Santa alle spalle, poi in viso. Quindi si è scagliato contro il ragazzo, prima sparandogli mentre tentava di fuggire, poi prendendolo a calci e dandogli infine il colpo di grazia, sempre al volto. Risparmia però la ragazzina. Quando muore, stretta nel suo vestito nero di vedova, Santa ha 22 anni. Dopo due giorni, il pentito Giuseppe Ferone viene arrestato come mandante del duplice omicidio, accusato da altri membri del suo clan di essere anche uno degli esecutori dell’omicidio di Carmela Minniti, moglie di Santapaola, avvenuto nel 1995, quando Ferone era già collaboratore di giustizia. Viene quindi sospeso dal programma di protezione. Avrebbe agito per vendicare gli omicidi di suo figlio e suo padre, uccisi dai sicari di Antonino Puglisi e Nitto Santapaola. Il 30 agosto Giuseppe Ravalli, nipote di Ferone, viene arrestato come l’esecutore dell’omicidio di Santa e Salvatore. Ravalli, che si pente subito l’arresto, racconta di aver vissuto in istituti di assistenza e convitti e di aver avuto come punto di riferimento solo lo zio. Passano pochi giorni e Ferone ammette tutti gli omicidi, confessando di aver progettato anche quello del figlio di Santapaola, dichiarando di voler riprendere il percorso di collaborazione. La magistratura però non lo riammette nel programma di protezione. Il 24 ottobre viene arrestato anche Orazio Puglisi, fratello di Santa, per possesso di arma da fuoco. L’anno successivo si celebra il processo contro Ferone, durante il quale l’imputato chiede protezione per sua moglie e sua figlia. La Corte d’Assise di Catania lo condanna all’ergastolo insieme ad altre quattro persone, coinvolte in tutti gli omicidi. Vengono comminati 21 anni, invece, a Ravalli per semi-infermità mentale perché plagiato dallo zio. Nel 1999 anche Antonino Puglisi decide di collaborare.

1998
Annalisa Isaia
Catania
Annalisa è una ragazza di 20 anni. Merita di morire solo perché frequenta il “giro” sbagliato. Ad ammazzarla è lo zio materno, Luciano Daniele Trovato: non sopporta di essere deriso dagli affiliati della cosca mafiosa di cui face parte, gli Sciuto, perché la ragazza frequenta un gruppo di coetanei di un clan rivale, i Laudani. Questi ultimi sono ritenuti colpevoli della morte del padre di Annalisa avvenuta nel 1993. Il cadavere della ragazza viene rinvenuto sepolto dopo diversi giorni.

[Foto di svaboda!]

Redazione

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