Cassibile, migranti sfruttati denunciano alla Finanza Chiuse le indagini su un caporale e due imprenditori

Hanno detto no e si sono ribellati alle condizioni umilianti in cui erano costretti a lavorare. A Cassibile, per alcuni mesi all’anno, il caporalato è di casa. A pagarne le spese sono i migranti che si concentrano in una zona periferica del paese, conosciuta come Case Sudan, e che vengono chiamati ogni giorno a lavorare nelle campagne di questo territorio. L’anno scorso alcuni di loro, stanchi del trattamento subito da parte dei titolari di certe aziende agricole siracusano, si sono presentati spontaneamente alla Guardia di finanza e hanno sporto denuncia.

Da lì è partita un’indagine che ha portato a indagare tre persone, che oggi hanno ricevuto avviso di conclusione delle indagini e su cui scatterà la richiesta di rinvio a giudizio: sono i due titolari di un’impresa agricola locale, Sebastiano e Giuseppe Andolina, e il caporale Ghazal Mohamed, cioè colui che ingaggiava e poi controllava i migranti nei campi.

Le indagini, coordinate dal procuratore capo Francesco Paolo Giordano, e dirette dal sostituto procuratore Tommaso Pagano, delegate alla Compagnia di Siracusa, hanno permesso di individuare una fitta rete di rapporti tra un cittadino extracomunitario, che reclutava manodopera allo scopo di destinarla al lavoro in condizioni di sfruttamento, e due titolari di un’azienda agricola operante nel territorio di Cassibile, Avola e Siracusa, che hanno utilizzato questi lavoratori «in condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno». 

L’attività investigativa, eseguita anche mediante indagini tecniche, ha permesso di riscontrare che i lavoratori extracomunitari impiegati, oltre ad essere retribuiti in modo inadeguato rispetto alla quantità di lavoro prestato, molto spesso non venivano ingaggiati. Le ispezioni effettuate nell’azienda, inoltre, hanno fatto scattare anche la contestazione della violazione di numerose norme in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro: luoghi insalubri, sporchi e senza i dispositivi di protezione individuale. 

Particolari, poi, i metodi di sorveglianza utilizzati: oltre al caporale, con funzioni di sentinella nei campi, i titolari dell’azienda hanno installato un sistema di videocamere abusivo nei loro magazzini per controllare l’operato dei lavoratori. 

La nuova normativa ha permesso all’autorità giudiziaria di chiedere e ottenere, nel luglio del 2017, di sottoporre a controllo giudiziario l’azienda, mediante la nomina di un amministratore giudiziario, per non interrompere l’attività produttiva. «È questa la volontà del legislatore – sottolineano i carabinieri – che mira ad eliminare le condizioni che avevano determinato lo sfruttamento dei lavoratori ma non a compromettere l’occupazione ed il valore economico del complesso aziendale».

Redazione

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