Caso Tutino, i colleghi contro l’ex primario «Da subito si presentò come un innovatore»

«L’avvento di Tutino? Ha cambiato tutti gli equilibri e i rapporti all’interno della struttura». A riferirlo è Daniela Faraoni, commissario straordinario dell’Asp di Palermo, davanti ai giudici della terza sezione penale, dove si celebra il processo a carico di Matteo Tutino, l’ex primario di Villa Sofia accusato di concorso in truffa aggravata e abuso d’ufficio. Imputati insieme a lui anche Giacomo Sampieri, ex manager dell’ospedale palermitano, Damiano Mazzarese, dirigente del dipartimento di Anestesia e Rianimazione dell’azienda ospedaliera, l’ispettore della Digos Giuseppe Scaletta e la moglie genetista Mirta Baiamonte, accusati a vario titolo di truffa, abuso d’ufficio e tentato abuso d’ufficio. «Ci furono da subito delle difficoltà operative», torna a dire ai giudici l’ex collega, all’epoca direttore amministrativo degli ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello. Difficoltà che avrebbe impedito, a suo dire, di lavorare in un clima disteso, con effetti a catena anche sull’utenza. Ma la conflittualità, col tempo, anziché placarsi diventa «sempre più forte, si percepiva la difficoltà degli altri operatori di dire qualcosa in favore dell’uno o dell’altro. Tutino ha comportato un cambiamento di rotta nell’organizzazione, riteneva che anche all’interno delle nostre strutture pubbliche si potessero svolgere attività sulle quali c’erano delle riserve».

«Lui da subito si presentò come innovatore – continua la dottoressa Faraoni -, proponeva soluzioni diverse rispetto a quelle adottate fino a quel momento dalla struttura complessa. Ricordo bene uno scontro forte tra me e lui riguardo l’utilizzo di un macchinario che secondo lui aveva efficacia anche sotto il profilo sanitario, non solo estetico». Macchinari che in genere in una struttura pubblica non si troverebbero, almeno non a Villa Sofia, e che secondo la dottoressa Tutino avrebbe voluto introdurre e mettere al servizio della collettività. «Ma questo comportava anche l’acquisto di materiale dall’importo considerevole. Malgrado non fossi d’accordo, abbiamo proceduto comunque con una breve sperimentazione, ma solo dopo che il commissario diede l’autorizzazione perché quella strumentazione venisse inclusa all’interno dell’organizzazione. Strumenti come il body jet, che a nostro avviso non rientrava nella tipologia di prestazione sanitaria erogabile». Ma all’equipe non resta che allinearsi alla richiesta, specie dopo che direzione sanitaria e commissario straordinario ne hanno autorizzato l’impiego. L’ospedale avrebbe avuto questi strumenti in comodato d’uso da Tutino stesso, mentre l’azienda avrebbe dovuto comprare il materiale di consumo, «ma io mi sono opposta, non ci sarebbe stato alcun bando di gara, era tutto piuttosto ambiguo».

Tante le contestazioni mosse dalla collega nei confronti dell’ex primario, dalle scelte professionali volute dal medico, come quella della short week, ai modi tenuti in reparto: «Usava dei toni molto forti e ferrei, però con calma lo abbiamo affrontato – ricorda la dottoressa -. Ci furono confronti forti anche sulle modalità di alcuni interventi e, per esempio, sull’acquisto di alcune protesi mammarie, i nostri erano interventi ricostruttori a seguito di patologie gravi, non di altre attività che ci avrebbero potuto ricondurre al carattere estetico. E poi si voleva destinare parte della nostra degenza a pagamento, un’altra cosa a cui mi sono opposta in maniera violenta. Non potevamo occuparci di questa parte di attività, in una realtà che lotta ogni giorno con le liste d’attesa». A spalleggiare Tutino ci sarebbe stato Giacomo Sampieri, che spesso «assumeva un atteggiamento di scontro con me. E quando mi dava ragione diceva che non poteva contrastare certe scelte per i rapporti di amicizia fraterna che intercorrevano con Tutino». Ma la dottoressa Faraoni, a un certo punto, inizia a dare fastidio e la sua presenza improvvisamente sembra non essere più gradita dentro l’unità operativa. «Sono stata costretta a dimettermi – spiega ai giudici -. Sampieri, in presenza di un avvocato, mi disse che ormai erano accadute troppe cose che non garantivano più la mia permanenza come direttore nell’azienda, perché avevo offuscato più volte la sua immagine per far prevalere la mia, cosa di cui era stanco anche il presidente Crocetta, che dava mandato a un chiarimento ultimo, con richiesta finale di dimettermi, dimissioni con le quali avrei in futuro potuto salvare la possibilità di ricoprire quell’incarico in quell’area». Dopo 12 ore passate a riflettere, firma il foglio di dimissioni, spacciate per ferie arretrate. «Sampieri il giorno stesso smobilitava la mia stanza e il mio computer, ha messo i sigilli alla porta del mio ufficio temendo che io o altri potessimo portare via dei documenti».

Prima della dottoressa Faraoni, a tornare indietro fino al 2013 è il chirurgo plastico Giuseppe Lo Baido, anche lui tra quelli, secondo il suo racconto, che prende le distanze dall’orientamento impresso al reparto con la venuta dell’ex primario. «Fu subito chiaro che Tutino aveva grande potere all’interno dell’azienda, le sue richieste venivano subito prese in considerazione e immediatamente risolte. Oltre al fatto che, appena arrivato, gli fu affidato una sorta di censimento dei referti chirurgici a disposizione della sala». E a proposito degli strumenti usati per gli interventi, «a maggio e a giugno furono ritrovati in sala operatoria dei ferri privi della timbratura necessaria per l’utilizzo, appartenevano a Tutino, partirono delle segnalazioni ma non produssero alcun effetto negativo. Fu nominata anche una commissione successiva, ma non ci fu nessun provvedimento disciplinare – ricorda il medico -. Diverso l’atteggiamento della direzione nei nostri confronti quando al Cto furono trovati strumenti della chirurgia estetica, che furono requisiti e mentre io e altri colleghi fummo mandati a procedimento disciplinare».

Ma l’ex primario non ci sta, e dopo aver ascoltato con fremente pazienza il resoconto dei colleghi, chiede al giudice di prendere la parola. Ormai quasi un rito, all’interno di questo processo. E risponde a ogni circostanza tirata in ballo contro di lui, dagli interventi di liposuzione e simili eseguiti anche in strutture pubbliche, con lista degli ospedali alla mano, agli strumenti impiegati, richiesti anche da strutture d’eccellenza. «Fino a poco tempo fa a Villa Sofia c’erano le protesi pip, che provocano tumori – replica, alludendo a quanto riferito da Faraoni -. E le gare sono state fatte e sono state acquisite per il bene dei pazienti protesi garantite a vita. Produco anche il documento ufficiale della direzione di Villa Sofia presentato alla sesta commissione sanità dove sono evidenziati gli inconfutabili risultati ottenuti durante il periodo di sperimentazione» continua, facendosi prendere la mano e finendo per usare il gergo e le formule che competono agli avvocati. «A Villa Sofia eravamo in quattro gatti, noi medici, la settimana corta permetteva orari dalle 8 del mattino alle 16 tutti i giorni. In quella fascia di tempo tutti erano presenti e tutti operavano».

Ha una risposta e una spiegazione per tutto, Matteo Tutino. Pure per quegli strumenti di chirurgia estetica trovati in reparto: «Ne sono stati trovati anche altri prima dei miei, ma quelli non furono oggetto di discussione, coma mai? – si domanda -. E poi, ci si sorprende per il tipo di interventi che ho effettuato, bollati qui come di chirurgia estetica, come quello di asimmetria mammaria. Lo stesso intervento effettuato giorni prima dal dottor Lo Baido, solo che in quel caso non era estetica, perché nel mio si? Dove sono le differenze? Era lo stesso intervento. C’è attendibilità su quello che viene detto qui o vengono fatte delle affermazioni tanto per dire che Tutino faceva chirurgia estetica? Non riesco a capire».

Silvia Buffa

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