L’inchiesta su Riccardo Savona potrebbe allargarsi ad altri progetti. Il lavoro dei finanzieri del gruppo di Palermo, coordinati dalla procura del capoluogo, sta proseguendo con l’esame di documenti riguardanti ulteriori bandi su cui le associazioni riconducibili all’esponente di Forza Italia potrebbero avere messo gli occhi con l’intento – è questa l’ipotesi dei magistrati – di accaparrarsi risorse economiche da usare per obiettivi differenti da quelli per cui erano stati stanziati. Tra questi fini, secondo la procura, ci sarebbe anche l’alimentazione di una rete clientelare che Savona – aiutato anche dalla moglie Maria Cristina Bertazzo e dalla figlia Simona, entrambe indagate – avrebbe usato soprattutto in tempo di elezioni, sfruttando la possibilità di offrire posti di lavoro temporanei in cambio dei voti.
Nello specifico la guardia di finanza avrebbe tra le mani un progetto che avrebbe dovuto ricevere fondi per oltre duecentomila euro, ma che è stato bloccato nell’attesa di verificare la documentazione a corredo della richiesta di liquidazione dei fondi. Da parte sua, il deputato – la cui carriera politica regionale è sempre stata legata alla commissione Bilancio, di cui è stato presidente o vicepresidente nelle ultime cinque legislature – continua a dichiararsi sereno. Lo ha fatto anche ieri: tra i corridoi di palazzo dei Normanni, a chi gli chiedeva se stesse vagliando l’ipotesi dimissioni, ha risposto specificando che finché non emergeranno precise responsabilità penali sul suo conto rimarrà saldo alla guida della commissione. Dagli investigatori Savona è ritenuto il dominus dell’associazione e avrebbe usufruito della propria posizione per intercettare le occasioni da cogliere al volo, venendo a conoscenza in anticipo dei bandi pubblicati dagli assessorati e riuscendo – scrive la procura – a «incidere positivamente durante l’iter burocratico al fine di consentire l’approvazione dei progetti e l’erogazione delle somme».
Uno dei bandi al centro dell’inchiesta tira in ballo anche l’Irvos, l’istituto regionale vini e oli di Sicilia. Tra giugno e novembre del 2012, l’ente chiede e ottiene dall’allora assessorato alle Risorse agricole e alimentari un finanziamento da duecentomila euro per un progetto che punta a promuovere la capacità delle piccole e medie imprese del settore vitivinicolo e olivicolo-oleario di competere sui mercati internazionali. Pochi mesi dopo, a febbraio 2013, entra in gioco la cooperativa Palermo 2000, dietro cui, per i magistrati palermitani, ci sarebbe proprio Savona. La coop, il cui legale rappresentante risulta essere il 59enne Nicola Ingrassia (anche lui indagato), stipula una convenzione con l’Irvos assumendo il compito di svolgere il progetto. Quale sia la genesi dell’accordo, quale il punto di incontro tra ente regionale e Palermo 2000 non è chiaro dai documenti che accompagnano la liquidazione delle somme conclusa nel 2016. A non averne memoria è anche l’allora dirigente generale dell’Irvos Lucio Monte. «Ricordo che da tempo l’istituto aveva intenzione di chiedere i fondi per un’iniziativa a favore delle imprese e volta ai mercati esteri – dichiara Monte a MeridioNews – ma se mi chiede come si è arrivati alla Palermo 2000 non glielo saprei dire. Parliamo di parecchio tempo fa».
Per gli uomini del gruppo di Palermo della guardia di finanza, che nei mesi scorsi hanno fatto visita ai locali dell’ente, quel progetto avrebbe presentato diverse criticità: dalla riconducibilità delle spese documentate alle società gestite dietro le quinte da Savona alla richiesta di rimborsi chilometrici per viaggi mai effettuati, nonché il coinvolgimento di imprenditori che, ascoltati dagli investigatori, hanno dichiarato di non avere mai aderito al progetto. E questo nonostante il corso di formazione si sarebbe tenuto tramite una piattaforma on line. «Rispondendo agli impegni lavorativi dei partecipanti che in questo modo avranno piena libertà di poter accedere alle lezioni», spiegò Sergio Piscitello, durante l’incontro di presentazione che si svolse a novembre 2013 in un hotel palermitano. Piscitello, che formalmente è legale rappresentante della Fenice, un’altra coop vicina a Savona, è tra gli indagati dell’inchiesta.
Ma oltre ai singoli progetti banditi dagli assessorati, la lente d’ingrandimento degli investigatori potrebbe presto scandagliare anche la gestione che negli anni è stata fatta della cosiddetta tabella H, ovvero l’elenco di enti beneficiari di contributi regionali, oggetto nel tempo di critiche per le modalità con cui avveniva la ripartizione. A tal proposito un rimando alle società al centro dell’inchiesta lo si trova nel 2013, anno in cui vide la luce la prima finanziaria targata Crocetta. Quell’anno la tabella, dopo essere stata approvata dall’Ars, venne impugnata dal commissario straordinario dello Stato. Senza quello stop, a cui seguì in estate l’indizione di un bando per gli enti che ambivano ai contributi regionali, a beneficiare della pioggia di fondi sarebbero stati in molti. Nella lunga lista predisposta a gennaio, e ancora rintracciabile on line, compaiono anche le associazioni Prosam e Rises, per le quali era stato proposto un finanziamento rispettivamente da 254mila e 240mila euro.
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