«Si è creata una specie di congiuntura, per cui era quasi impossibile intaccare quello che sembrava un santuario». A dirlo è stato il sostituto procuratore Cristina Lucchini parlando davanti alla Commissione antimafia, nel corso di una audizione in cui sono stati ascoltati anche il procuratore della Repubblica del tribunale di Caltanissetta, Amedeo Bertone, i procuratori aggiunti Lia Sava e Gabriele Paci e i sostituti procuratori Stefano Luciani. Il resoconto dell’audizione è stato depositato in questi giorni.
«L’idea che ci siamo fatti – ha detto il pm Lucchini, rispondendo ad una domanda della presidente dell’Antimafia Rosy Bindi a proposito del caso che ha riguardato Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo – è che i magistrati (questo, però, riguarda non solo l’incarico e il ruolo di giudice delegato nelle misure di prevenzione, ma può riguardare anche altri incarichi) non hanno la preparazione per interloquire fondatamente con dei professionisti quali gli amministratori giudiziari nella gestione di compendi in sequestro».
«Il sistema, per come è strutturato, si fonda, di fatto, sulla capacità di controllo del giudice delegato sulle attività di amministratori giudiziari e sulla onestà degli amministratori giudiziari nella gestione dei compendi in sequestro. Ci sono, dunque, variabili troppo fragili per consentire una gestione improntata a criteri di legalità e di efficienza», ha proseguito Lucchini, secondo la quale il caso Saguto è stato possibile «perché si è lasciato tutto all’onestà, in questo caso alla disonestà, del presidente della sezione misure di prevenzione. Poi, quando si sono avvertiti i primi scricchiolii, perché sono iniziate le prime denunce, la reazione è stata – mi permetto di dirlo, credo anche della Commissione antimafia – di incredulità e di difesa netta dell’operato della sezione misure di prevenzione».
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