Prosegue a Caltanissetta il processo contro la giudice Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, e i suoi presunti complici, tra avvocati, amministratori giudiziari e familiari, rimasti coinvolti nell’inchiesta sulla gestione dei beni confiscati. L’udienza di oggi si è concentrata soprattutto sull’esame di Carmelo Provenzano, amministratore giudiziario sotto la ex presidente, interrogato per ben sette ore dal giudice Marcello Testaquadra e dal difensore, l’avvocato Maurizio Pastorello. Per l’accusa, fra aprile e maggio 2015, avrebbe avuto il ruolo di coinvolgere nelle amministrazioni giudiziarie, con l’avallo di Silvana Saguto che autorizzava le nomine, i propri congiunti più stretti, spesso con incarichi di facciata utili solo a giustificare esborsi di denaro pur in assenza delle prestazioni dovute.
«Abbiamo depositato le insagini difensive, sulla base dei testimoni sentiti per il processo e poi abbiamo spiegato come si muoveva l’amministrazione giudiziaria Santangelo – spiega il legale – i rapporti con la giudice Saguto, il ruolo di tutti i coadiutori interessati nelle procedure in materia di misura di prevenzione». Dalla procedura Ingrassia alla procedura Acanto, tutte una per una vengono poste sotto la lente indagatoria della giuria. «Provenzano si è soffermato molto non solo nello spiegare i ruoli e le novità dell’amministrazione di Roberto Nicola Santangelo, ma ha anche spiegato i rapporti che, in qualità di studioso delle misure di prevenzione, ha avuto a livello personale con diversi magistrati oltre a Silvana Saguto, interessati in vari tribunali in materia ovviamente di misure di prevenzione».
C’è stato spazio, nelle sette ore di interrogatorio, anche per approfondire la natura del rapporto dell’amministratore giudiziario con il figlio minore della giudice, presente in aula oggi, che avrebbe aiutato nel percorso di studi precedente e successivo alla laurea. Quello che secondo gli inquirenti ha rappresentato, fra Provenzano e Saguto, il «prezzo della corruzione». «Ha confermato di essere stato il coach di uno dei figli, Emanuele, che ha seguito nel percorso universitario fino alla laurea e anche dopo – spiega l’avvocato – raccontando la grande sintonia e l’affetto sorti fra loro, lo ha spiegato nei minimi dettagli». Spiega anche la decisione di organizzare per il ragazzo un apericena in suo onore a Enna, una volta conseguita la laurea.
«Ha tracciato in maniera molto puntuale le ragioni per le quali si era legato a questo ragazzo, con il quale trascorreva a volte anche intere giornate. Insieme giocavano a calcio e a tennis, Emanuele gli portava anche dei regali in segno di riconoscenza per l’aiuto nello studio – prosegue il legale – Uno stimolatore di intelligenze, in un certo senso». Un rapporto che è emerso in maniera forte, chiara e decisa. A ottobre si proseguirà con il controesame del pubblico ministero ed eventualmente anche con le domande delle parti civili.
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