«Mi chiamo Lidya Tesfu, sono nata nel 1993 il 18 aprile». Sono queste le prime parole di Lidya Tesfu, moglie del trafficante di uomini Medhanie Yehdego Mered, sentita in videocollegamento dalla Svezia dai giudici della seconda assise di Palermo. Riccioli sollevati in alto, maglione scuro e braccia incrociate, così la giovane appare impressa nel monitor in aula, mentre scruta le fattezze dei due giovani imputati presenti rinchiusi nella gabbia di vetro dell’aula. Ne osserva uno in particolare, quello che per l’accusa sarebbe suo marito e padre del loro bambino, Rae Yehdego, e che da due anni dichiara di essere vittima di uno scambio di persona e di chiamarsi Medhanie Tesfamariam Behre.
«Medhanie Mered è una persona con cui ho una relazione, è mio marito e padre di mio figlio. Ma non è quello che ho visto in aula. Questa persona non è mio marito» dice subito, dopo un faccia a faccia virtuale tra lei e il ragazzo detenuto, atteso per due anni. «Non ho nessuna relazione con nessuna delle persone viste qua oggi, né con le altre nella lista. C’è il nome di mio marito, ma non è qua», ribadisce lei. Confermando quanto aveva già raccontato un anno fa in esclusiva a MeridioNews, non riconoscendo nella foto dell’uomo detenuto al Pagliarelli da oltre due anni il trafficante ricercato dalla polizia di mezza Europa.
Davanti a lei anche la famosa foto del boss della tratta fatta circolare all’indomani del suo presunto arresto: t-shirt azzurra, crocifisso in vista e riccioli voluminosi a contorno di un volto ben diverso da quello del giovane sotto processo a Palermo. In Svezia dal 2014, la donna per qualche giorno è passata anche dall’Italia prima di arrivare nella città in cui vive ormai da quattro anni. «Sono arrivata dalla Libia con una nave, durante il viaggio siamo stati aiutati da una nave italiana. Non so se ho lasciato il mio nome da qualche parte, non lo ricordo – racconta la giovane -. Dall’Italia alla Svezia mi sono spostata come molti altri in automobile. Ho chiesto a diverse persone per la strada come arrivare».
E poi si arriva ai social, protagonisti in parte di questa storia e dei suoi sviluppi durante il processo. «Il mio profilo Facebook risale al 2011, ero in Sudan – risponde al pubblico ministero Calogero Ferrara -. E non sono mai stata negli Stati Uniti». Quando arriva in Svezia è già incinta, il suo bambino nasce proprio lì, il 14 settembre 2014. Non ha altri figli. «Non ricordo che numero usavo per sentire mio marito. Non lo vedo da quando sono in Svezia». Mentre chiede insistentemente se sia imputato o meno. «No», la rassicura la Corte. Seppure il ragazzo sotto processo da due anni e mezzo venga da tutti indicato e identificato come Medhanie Yehdego Mered. Segno, forse, che il nome sia diventato un dettaglio in questa vicenda e che si punti ora a incriminare un presunto trafficante qualunque, e non quel Generale tanto cercato fino a poco tempo fa?
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