Caso Mered, parla ancora l’ispettore Mauro Dall’identificazione alle nuove intercettazioni

«Confermo quanto detto durante le cinque udienze precedenti». Ha esordito così Giuseppe Mauro, ispettore della squadra mobile di Agrigento, già sentito lo scorso inverno nell’ambito del processo a carico del presunto trafficante di esseri umani Yehdego Medhanie Mered. In quell’occasione, però, la sua testimonianza, durata per settimane, era stata resa davanti alla corte della quarta sezione penale. Oggi, invece, l’ispettore ha ripercorso le fasi salienti dell’operazione Glauco I e II davanti alla seconda corte d’Assise.

Ancora una volta, dall’acquisizione delle utenze straniere da monitorare fornite dalla cooperazione internazionale con le forze dell’ordine europee sino alla conclusione delle primissime indagini, nel luglio del 2014. E poi l’inizio della seconda inchiesta, i 24 fermi e i due primi super latitanti, Ermias Ghermay e Mered. Fino, ancora, all’arresto di quest’ultimo, o almeno di quello che l’accusa pensa sia il pericoloso trafficante, a maggio del 2016 e all’estradizione in Italia il mese successivo.

E ancora Atta Weabrebi Nouredin, il primo migrante a diventare collaboratore di giustizia, e Lidya Tesfu, moglie del trafficante, rintracciata e intercettata in Svezia, dove vive col figlio avuto dal trafficante. «Medhanie è stato individuato nei primi mesi del 2016 attraverso la collaborazione con l’Nca. Tra le diverse polizie coinvolte nelle indagini e la nostra Procura c’era un costante scambio di informazioni», precisa Mauro. E poi le tre telefonate intercettate il 23 maggio 2016, racconto che rende teso il clima in aula e innesca un botta e risposta tra l’avvocato della difesa Michele Calantropo e il giudice Alfredo Montalto.

Il primo contesta il fatto che il contenuto riferito dall’ispettore sulle intercettazioni ascoltate sia poco obiettivo, perché non si tratta di un esperto madrelingua di tigrino, ma di qualcosa appreso attraverso traduzioni di terzi, e non direttamente dall’imputato. «Ogni testimonianza ha per forza qualcosa di soggettivo. Prendo atto della sua idea diversa dalla mia, avvocato», interviene Montalto a metterci un punto. La testimonianza dell’ispettore Mauro continuerà in occasione della prossima udienza di gennaio, durante la quale darà atto dell’attività integrativa d’indagine e delle nuove intercettazioni per le quali l’accusa ha chiesto la trascrizione e il deposito.

Intanto il caso continua a far discutere, specie fuori dai confini italiani. Solo pochi giorni fa, infatti, un’organizzazione umanitaria eritrea ha scritto ai vertici dell’Nca inglese, ma anche al nostro Ministro dell’Interno Marco Minniti e al Ministro della Giustizia Andrea Orlando: «Chiediamo il rilascio immediato di Medhanie Tesfamariam Behre – questa l’identità da sempre dichiarata dall’uomo al Pagliarelli da oltre un anno – attualmente ingiustamente detenuto», scrivono. «Le circostanze del suo arresto e le accuse mosse contro di lui sono ormai dimostrate infondate e speciose».

Dalle discrepanze fisiche alle dichiarazioni rilasciate in esclusiva a MeridioNews dalla moglie del trafficante Mered, che di fronte a una fotografia del giovane in carcere ha ammesso non solo che non si tratti del marito ma anche di non conoscerlo. Fino a una delle più recenti novità, il risultato del test del Dna eseguito tra il ragazzo detenuto e la donna che dichiara di esserne la madre, che escluderebbe appunto che dietro le sbarre ci sia il trafficante tanto ricercato. Alla nota, però, non è giunta ancora nessuna risposta.

Silvia Buffa

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