Caso Mered, la difesa deposita 23 nuovi documenti Sarà processato con altri cinque per reato di strage

Stabilito finalmente un nuovo collegio, il processo al presunto trafficante di esseri umani, Medhanie Yedhego Mered, si appresta a cominciare. Il presidente della corte ha accolto la richiesta avanzata nella scorsa udienza dai pm Geri Ferrara e Claudio Camilleri e ha deciso, per «ragioni di vicinanza e fondatezza», di riunire il procedimento a carico di quello che secondo l’accusa sarebbe il boss della tratta con un altro a carico di cinque imputati, anch’essi accusati del reato di strage e per i quali nelle prossime udienze si prevede di sentire 40 testimoni. «Non è una decisione che incide più di tanto per noi, perché il mio cliente non è chi dicono che sia», commenta Michele Calantropo, legale dell’uomo detenuto al Pagliarelli, ritenuto dall’avvocato vittima di un clamoroso scambio di persona, convinto che si tratti in realtà del ventinovenne eritreo Medhanie Tesfamarian Berhe.

Durante l’udienza di questa mattina il pm Camilleri ha formalmente richiesto di procedere alla trascrizione delle conversazioni telefoniche e al deposito delle bobine contenenti le relative tracce audio, risultato dell’attività di intercettazione che ha caratterizzato la prima fase delle indagini. Tra una settimana verrà conferito l’incarico ai periti di parte, che potranno mettersi a lavoro. Calantropo, invece, ha depositato oltre a una copia informatica del saggio fonico realizzato al Pagliarelli quattro giorni fa e i cui risultati sono attesi per metà gennaio, anche 23 nuovi documenti, tutti volti a dimostrare la vera identità dell’imputato, chiedendo anche l’ammissione dei test rintracciati in questi mesi dalla difesa. Fra gli atti consegnati ci sono il bollettino di diploma in originale dell’imputato, inviato direttamente dall’Eritrea, proveniente dalla scuola che frequentava nel 2010, con relativo estratto fotografico della pagina che lo ritrae, una dichiarazione del suo datore di lavoro che sostiene che l’imputato avrebbe lavorato da lui dall’1 maggio 2013 al 3 novembre 2014 col nome di Medhanie Tesfamarian Berhe. E ancora il certificato di stato di famiglia, la tessera originale eritrea – sorta di equivalente di quello che per noi è la carta d’identità -, il documento di ammissione all’anno successivo della scuola, il certificato di battesimo e quello di residenza, la tessera di riconoscimento del padre, altri documenti scolastici e anche un certificato di pronto soccorso.

Non mancano neppure alcune foto che lo ritraggono e altre in cui è immortalato all’interno della sua abitazione, oltre a una serie di foto attribuibili, secondo la difesa, al vero Medhanie Yedhego Mered. Non manca neppure un confronto fotografico fra i due uomini, quello detenuto a Palermo e quello che la difesa presume essere il vero boss ancora in libertà. Si prosegue con la dichiarazione medica di un infortunio subito dal detenuto il 4 febbraio 2013 con relativo certificato di ricovero, le copie delle ricevute di un bonifico mandato dai fratelli negli Stati Uniti e delle conversazioni estratte dal profilo Facebook della signora Lidya Tesfu, moglie del boss, avute con quello che si suppone essere il reale Mered e dalle quali è possibile risalire a delle fotografie che ritrarrebbero i due insieme, nonché delle conversazioni fra un test indicato nella lista depositata dal legale e lo stesso Mered avvenute il 20 novembre 2016. Probabilmente, quelle che nelle settimane scorse sono state denunciate pubblicamente dal quotidiano inglese The Guardian, nelle quali il vero trafficante di migranti afferma che in carcere si trovi la persona sbagliata. 

Silvia Buffa

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